Jules Bianchi, 10 anni dopo: l’eredità oltre la morte

A 10 anni dalla morte di Jules Bianchi, sono ancora tanti i rimpianti, ma resta una grande eredità che va ben oltre la sua morte
Il funerale di Jules Bianchi a Nizza, 21 luglio 2015. Bianchi è morto il 17 luglio 2015 a 25 anni. Ansa EPA/OLIVIER ANRIGO

Sono passati ormai 10 anni da quel 5 ottobre 2014, dall’ultima gara di quella promessa della F1, da quel futuro campione della Ferrari, da quel ragazzo sorridente che è stato Jules Bianchi e che, anche se non ha avuto modo di farlo in vita, ha lasciato l’eredità più importante della Formula Uno dopo la sua morte.

Jules Bianchi in Formula 1 in Jappone al circuito di Suzuka, 5 ottobre 2014. Ansa EPA/DIEGO AZUBEL

Gli esordi e la Ferrari Driver Academy

25 anni, sempre con il sorriso stampato in faccia, stella emergente che avrebbe corso con la tuta rossa la stagione successiva, ecco chi era Jules Bianchi e perché è stato e sarà guida e angelo custode di molti altri ragazzi con il suo stesso sogno.

Nasce nella bella Nizza, tra i motori: la passione per le corse era di famiglia in casa Bianchi. Jules era nipote di due piloti: Mauro e Lucien Bianchi, il pilota belga vincitore della 24 Ore di Le Mans nel 1968 e pilota di Formula 1. Inutile dire, quindi, che Jules inizia a correre sin da piccolissimo, mostrando fin da subito un talento innato che lo ha portato a scalare rapidamente le categorie giovanili.

La sua carriera inizia nei kart, dove conquista numerosi titoli a livello nazionale e internazionale. Nel 2007 vince il campionato francese di Formula Renault 2.0, un trampolino di lancio verso il motorsport professionistico e l’anno seguente, infatti, ecco approdare in Formula 3 Euro Series, dove si afferma come uno dei piloti più promettenti, vincendo il campionato nel 2009.

Ed è nello stesso anno che Jules spinge la Ferrari a creare una accademia per i propri piloti, una vera fabbrica dei sogni per tantissimi giovani piloti che avevano il desiderio di correre con addosso una tuta rossa: la Ferrari Driver Academy. Ed è qui che il ragazzo semplice, spontaneo, dal talento grezzo, si è trasformato in uno dei piloti più completi della sua generazione, in un futuro campione della Ferrari. La squadra di Maranello, infatti, aveva messo gli occhi su di lui quando correva in GP2 e aveva deciso di crescerlo tramite attività ad hoc e personalizzate per prepararlo alla Formula 1 e questo avviene all’interno della Ferrari Driver Academy. I suoi primissimi compagni di accademia nel 2009 sono Mirko Bortolotti, ad oggi impegnato come pilota ufficiale Lamborghini nei principali campionati a ruote coperte, Sergio Perez e Raffaele Marciello, campione endurance. Dal 2009 tanti, tantissimi i piloti di successo sfornati dall’Accademia ma, a quindici anni di distanza, tra tutti quei giovani speranzosi, aleggia sempre la figura di Jules del quale si raccontano gli aneddoti, si insegnano gli errori e si elogiano i punti di forza.

Ed è questa la prima eredità di Jules Lucien André Bianchi. Un sogno, il suo e quello di tanti ragazzi, un sogno che parte con lui, continua con Charles Leclerc che aveva fortemente voluto in Ferrari ed è destinato a continuare con il giovanissimo Ollie Bearman e poi chissà quanti altri. Un sogno, quello di Jules, che è diventato realtà con un progetto che cresce sempre di più e che è riuscito a trovare la forza di andare avanti anche in suo onore. Un sogno per permettere a dei giovani talentuosi di realizzare quello che Jules non ha avuto il tempo di fare.

Il sogno Ferrari e il ritorno alla realtà della Formula Uno

E dalla Ferrari Driver Academy, non pasa molto tempo prima che il giovane talento approdi nella massima serie. Nel 2011, Jules diventa pilota di riserva per la Ferrari, e, dopo una breve parentesi come terzo pilota per la Force India nel 2012, nel 2013 arriva finalmente l’opportunità di correre a tempo pieno con il team Marussia. La scuderia non era di certo tra le più competitive ma il giovane pilota francese di origine italiane, non perde comunque l’occasione di mostrare al mondo il suo talento e lo fa, soprattutto, nel GP di Monaco del 2014 quando, su una pista insidiosa e difficile, ha portato alla Marussia i primi punti nella storia del team.

E, dopo il momento più alto ecco, nella stessa stagione, la fine di quella che sarebbe diventata una carriera brillante, la fine di una giovane vita sul tracciato di Suzuka. È il 2014 e si corre il Gran Premio di Suzuka di Formula 1. È una giornata grigia, sul tracciato giapponese e nel corso della gara inizia a cadere la pioggia che rende le condizioni della pista sempre più difficili. Siamo quasi alla fine e la Sauber di Adrian Sutil impatta contro le barriere, entra una gru per rimuovere il mezzo e, qualche secondo più tardi, la Marussia-Ferrari di Jules Bianchi che, con una scarsissima visibilità, la pista allagata e lo stupore per un mezzo che si trovava in mezzo alla pista, la colpisce in pieno.

Ed ecco tornare indietro nel tempo, ecco tornare a quel lontano 1994, a quel Gran Premio di Imola in cui Roland Ratzenberger e Ayrton Senna persero la vita. Ecco tornare allo shock, alla paura che i vent’anni appena trascorsi avevano cancellato. Jules non morirà subito, un coma di nove mesi lo attendeva dopo quell’impatto, ma i piloti nei paddock, i tifosi, la famiglia, tutti, sapevano di averlo perso quel giorno, quel maledetto 5 ottobre su un tracciato dove non smette più di piovere. Una tragedia evitabile, questo è certo, tanti i “se” e i “ma”, tanti i rimpianti che neanche la perenne pioggia su Suzuka ad ogni anniversario può fare dimenticare, ma una sola certezza, quella che Jules non è morto invano.

Tanti i cambiamenti in Formula Uno dopo il terribile incidente del numero 17. Primo tra tutti il ritorno all’idea che il Motorsport è uno sport pericoloso e poi due novità in materia di sicurezza che hanno già salvato più di una vita: la virtual safety car e l’halo. La prima, entrata in vigore dalla stagione successiva a quella dell’incidente di Suzuka, consiste nel  ridurre drasticamente la velocità della gara in caso di incidente senza che una safety car reale debba entrare in pista. La seconda, introdotta nel 2018, è una barra in titanio che protegge la testa. Entrambe o, probabilmente, anche solo una delle due, avrebbero salvato la vita del giovane Jules. Il destino di Jules, però, evidentemente, era un altro: non era quello di pensare a sé stesso, ma agli altri, di vegliarli, di essere un angelo custode e, così come quando, ancora ragazzo, spingeva il piccolo Charles sul suo kart, ancora oggi, a distanza di 10 anni dalla sua morte, Jules continua ad esserci.

Jules Bianchi è ancora presente ogni volta che si entra in regime di virtual safety car e si evita un incidente; Jules Bianchi è presente ogni volta che l’halo salva la vita di un pilota; Jules Bianchi è stato presente più che mai nel 2022 quando, durante il GP di Gran Bretagna, il terribile incidente di Zhou Guanyu aveva fatto temere il peggio ma poi, il pilota, grazie all’halo è uscito illeso; Jules Bianchi è stato presente quando, 10 anni dopo il suo successo a Monaco, il suo compagno dell’anima, il suo amico fraterno Charles Leclerc ha vinto il GP di casa pensando proprio a lui negli ultimi giri.

Jules, quindi, è ancora sempre presente nella Formula Uno ed era di certo destinato a grandi cose in questo mondo ma, forse, nessuna sarebbe stata grande quanto l’eredità che la sua terribile morte prematura ci ha lasciato: quella della vita. E quindi, merci Jules.

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