Agostino e la vita felice

Nuova edizione della prima opera del vescovo di Ippona scritta dopo la conversione. Vi è espressa in termini filosofici la sua gioia per aver trovato Dio
Felicità Foto di kien virak da Pixabay

Dalle Confessioni sappiamo che Agostino, dopo la conversione, abbandona l’insegnamento a Milano («decisi […] di ritirare pianamente l’attività della mia lingua dal mercato delle ciance») e cercando peraltro sollievo ai suoi mali ai polmoni si trasferisce nella villa messa a sua disposizione dall’amico Verecondo a Cassiciacum (oggi due località si disputano questo onore: Cassago in Brianza e Casciago nel Varesotto). Lì egli trascorrerà le vacanze autunnali, non da solo però: sono con lui la madre Monica, il figlio Adeodato, il fratello Navigio, i cugini Lastidiano e Rustico e i discepoli Trigezio e Licenzio.

Quale il suo stato d’animo durante quel sereno e appartato soggiorno, circondato dalle persone a lui più care? Gioia, sollievo, senso di liberazione come chi, emergendo da un oscuro carcere alla luce del giorno, ha lasciato dietro di sé «gli assilli mordaci dell’ambizione, del denaro, della sozzura e del prurito rognoso delle passioni», ed ora sperimenta la novità e la dolcezza dell’intimità con Dio.

Per trascorrere nel modo più proficuo il periodo di riposo e cura sì, ma soprattutto di ringraziamento e preparazione al battesimo – lo riceverà dal grande vescovo Ambrogio nell’aprile del 387 –, Agostino s’inventa una serie di dibattiti nei quali coinvolge i suoi familiari; dibattiti che, una volta trascritti, diverranno dei libri: i Dialoghi, un genere letterario tra i più frequentati nell’antichità classica. Non per niente il retore e pedagogo che è lui ha nel sangue l’insegnamento. Ora poi che ha trovato Cristo, la Verità incarnata, non ha più freni, ignaro però che una volta ritornato in Nordafrica, dove sogna di fondare una comunità di vita evangelica in cui meditare i testi sacri, dovrà cambiare programma, accettando di diventare prima sacerdote nel 391 e pochi anni dopo, nel 395, vescovo di Ippona.

Ma torniamo al novembre del 386 e all’inizio del primo Dialogo. Agostino lo fa coincidere con i festeggiamenti per il suo compleanno, che ricorre il giorno 13 in cui egli compie trentadue anni: suppergiù nel «mezzo del cammin di nostra vita», età di scelte importanti e decisive. L’argomento in programma è “La vita felice” (De vita beata), di cui ultimamente le edizioni Graphe hanno fornito una puntuale versione a cura di Francesco Roat dal titolo Sulla vita felice. Un percorso senza tempo.

Va ricordato che prima di Agostino tutta una serie di grandi del pensiero pagano – da Talete a Seneca e a Marco Aurelio, passando fra gli altri per Democrito, Socrate, Platone, Aristotele, Epicuro e Plotino – hanno argomentato su come il sapiente possa raggiungere la felicità. Ma era quasi scontato che il Nostro, trovata nel Vangelo la risposta alla sua ricerca di assoluto, avrebbe dedicato a questa stessa tematica la sua prima opera significativa dopo la conversione.

Se dunque il modello è quello delle dispute accademiche, ben diverso è lo spirito con cui il Dialogo – suddiviso in tre giorni – verrà condotto; diverso altresì per il luogo in cui si svolge (non passeggiando all’aperto o sotto i portici dell’Agorà) nonché per gli stessi partecipanti. Sono ammessi infatti, contro le consuetudini, anche Adeodato, sorta di ragazzo prodigio, e una donna come Monica: entrambi motivo di stupore per Agostino a causa delle risposte acute del giovinetto e degli interventi sapienziali di lei, una semplice donna di casa.

Viene facile, leggendo queste pagine giovanili, immaginare gli ospiti della villa trasferirsi dopo pranzo nella sala termale, se la temperatura esterna consiglia di stare al calduccio, o anche fuori in giardino, se il tempo lo consente, per dare seguito ad un altro convito, apparecchiato stavolta per nutrire l’anima. E immaginare un Agostino che, avviato il dibattito, stimola le risposte, chiarisce i dubbi per poi ricapitolare le conclusioni raggiunte: domande e risposte tutte accuratamente trascritte su tavolette di cera.

La sintesi su cui tutti sono d’accordo – frutto dell’esperienza stessa di Agostino nel suo sofferto itinerario verso la Verità – è che la vita felice equivale alla pienezza spirituale e si realizza attuando il reditus, il ritorno a Dio: come in un viaggio per mare alla ricerca della “terra della felicità”, che egli associa al concetto di “patria” enunciato dal pagano Plotino, patria a cui l’uomo sempre anela tornare identificata in Dio. Ecco perché – sentenzia Agostino – «chi è felice ha Dio».

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