Iddu, una tragedia siciliana?

Un film forte, ispirato alla latitanza di Matteo Messina Denaro, dal sapore universale.  
Toni Servillo, Fabio Grassadonia, Antonio Piazza e Elio Germano alla prima di "Iddu" al Festival del Cinema di Venezia. ANSA/ETTORE FERRARI

È duro, pesante, talora istrionico il film presentato a Venezia e diretto da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. Claustrofobico, anche se si vedono monti, campagne, il mare, il cielo, gente normale e gente diffidente e oscura. E lui, il boss innamorato del padre defunto, affezionato ad un idolo antico, indicato semplicemente con Iddu, Lui. Come l’Innominato manzoniano, ma inafferrabile, duro, sfuggente, reso con rara penetrazione fisica e psicologica da Elio Germano. È solitario, astuto, ha mosse animalesche che fiutano il terreno e si muove con la rete di amici cui manda messaggi di continuo, mentre lui rimane un fantasma onnipresente, violento fin da piccolo con gli animali e gli uomini, chiuso in un appartamento senza cielo e con una donna-segretaria, una vedova triste. È chiuso in gabbia, ma riesce a mietere lo stesso vittime innocenti o meno.

Fra gli amici di Iddu figura l’ex preside e sindaco, sei anni di carcere, ora uscito e accolto gelidamente dalla moglie. Un Toni Servillo per una volta non gigione, ma che dà corpo ed espressione ad un collaboratore sia di Iddu che della polizia, che fa il doppio gioco e cerca di riciclarsi. Iddu sembra starci ma conosce troppo gli uomini per fidarsi davvero, così la polizia, divisa al suo interno, potrebbe prendere il boss ma non osa, o piuttosto dall’alto arrivano segnali contraddittori. Non lo prendono il bosso, per ora. Polizia, governo e mafia in che rapporti stanno?

Lui, Iddu, fantasma che tutto vede, sta in guardia, ha un bambino che lo vorrebbe vedere, ma tutto si fa pericoloso per ciascuno, piccolo o grande che sia. La morte sta sempre in agguato.

Lui, Iddu, è di fatto figura del Male oscuro, onnipresente e seducente che nessuno afferra e che tiene i fili su tutto. Sotto questi aspetti il film supera la storia siciliana ed acquista una dimensione molto più ampia, quasi epica. Certo, non è un lavoro facile perché lascia una assenza di speranza, ma è anche uno sguardo dolente su tutti: sui piccoli, i vecchi, le donne, la gente e lui, Iddu, fuggiasco indurito eppure fragile, e sul suo amico ex preside, vittima desolata di sé stesso.

Diretto molto bene e recitato con convinzione, è una amara riflessione sul male e sul dolore prima di tutto su Iddu, l’innominato senza cielo e mare, e senza amore.

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