Libano, l’infinita apocalisse

Continua l’offensiva degli israeliani in primis contro Hezbollah, ma anche contro il Libano che non avrebbe saputo evitare la militarizzazione dei filoiraniani. E l’odio cresce assieme alla frustrazione,e prima o poi esploderà
Bombardamenti israeliani in Libano . EPA/WAEL HAMZEH

Indubbiamente, gli appassionati di strategie militari e di intelligence gongolano, e così i produttori di armi di ultima generazione. Israele ha messo a segno una serie di colpi da questa congerie definiti “magistrali”: dall’ecatombe provocata dallo scoppio dei cercapersone e dei walkie-talkie in dotazione alle milizie filoiraniane, alle migliaia di operazioni “chirurgiche” con lo scopo di ammazzare i capi dell’organizzazione paramilitare sciita, e per colpire i gangli vitali della rete di Hezbollah nel sud del Libano e nei quartieri meridionali di Beirut.

I morti si avvicinano ormai al migliaio – la contabilità è per forza di cose parziale −, i feriti sono già migliaia, i posti letto negli ospedali libanesi sono esauriti, gli oftalmologi sono al collasso, e ci si aspetta un’ondata di profughi verso il nord del Paese, come era avvenuto già nel 2006 nella “breve” guerra tra Israele ed Hezbollah, finita con un pari e patta, almeno così si diceva. Mentre nel 2011, mai dimenticarlo, due milioni di siriani si erano rifugiati in quel fazzoletto di terra grande come l’Abruzzo e popolato da soli quattro milioni di persone. Un’emergenza continua, iniziata nel 1975 e mai veramente conclusasi.

Certamente, la potente macchina da guerra israeliana ha fatto tesoro della mezza-sconfitta, o mezza-vittoria, del 2006, e ha modulato i suoi interventi in direzione delle armi digitali e dell’intelligence, ma anche degli armamenti tradizionali, sempre più “numerizzati”.

Purtroppo, in tutto ciò il carico di dolore scatenato in Libano − di Gaza ormai non se ne parla quasi più, ma la morte continua a incombere sulle popolazioni palestinesi − è indicibile, donne, bambini, innocenti sono costretti a rivivere esperienze belliche che si sperava fossero finite.

Ci si chiede dove e quando Israele cesserà la sua offensiva, che certamente ha un’influenza anche sulla crisi di Gaza: l’appetito vien mangiando e, dopo i successi delle ultime settimane, la tentazione di far piazza pulita definitivamente di Hezbollah e se possibile degli ayatollah, con un’operazione di terra nel sud del Paese dei cedri è forte in Israele, Stato guidato da un uomo politico senza scrupoli e ormai disperato come Benjamin Netanyahu, che sa bene che con questa guerra la sua carriera politica di libero cittadino sarà finita, e vuole lasciare un Paese a suo dire più sicuro di prima. A nulla valgono le operazioni di convincimento dell’amministrazione Biden e della comunità internazionale, che sembra impotente dinanzi alla volontà degli israeliani.

Certo, anche in Libano c’è una buona fetta di popolazione che la vuol far finita con l’esautorazione dello Stato da parte dei filoiraniani, che nel sud del Paese fanno il bello e il cattivo tempo: questa fetta di popolazione − in gran parte cristiana ma anche sunnita e paradossalmente comprendente anche gli sciiti non filoiraniani − in fondo guarda con un certo sollievo alle sconfitte di Nasrallah e dei suoi. Ma è innegabile che nello stesso tempo tutti i libanesi, anche questi ultimi anti-Hezbollah, avvertono come un sopruso vergognoso l’offensiva militare contro una parte del loro straordinario Paese.

E così il deposito di odio, frustrazione, antisemitismo, risentimento e desiderio di vendetta cresce nella regione e non potrà essere consumato da una vittoria militare di Israele. Tantopiù che in qualche modo le fazioni ferite non potranno cancellare la vergogna e la frustrazione che vendicandosi. E meno avranno nel loro arco frecce militari tradizionali, più rischiano di orientarsi verso forme non convenzionali, quindi terroristiche. E non è detto che tali operazioni non colpiscano ben lontano dai confini della regione mediorientale. La destabilizzazione è globale.

«L’Apocalisse continua», mi diceva stamani al telefono un imprenditore-umanista libanese, che per l’ennesima volta deve fare i conti con il blocco delle sue attività. E aggiunge con un certo humor: «Apocalisse vuol dire gettar via ciò che copre, togliere il velo, quindi rivelazione». Certamente il popolo libanese, al seguito di quello palestinese come di quello israeliano, e mettiamoci pure i siriani e gli iracheni e gli yemeniti, hanno patito e patiscono queste “rivelazioni” continue, che sollevano il velo sulla menzogna enorme che attraversa la loro terra, occupata da interessi di segno contrapposto che hanno poco o nulla di mediorientale.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

I più letti della settimana

Digiunare per la pace

Ragazzi di strada, maestri di vita

La narrazione che cura e cambia il mondo

Chi non vuole la tregua a Gaza?

Un sorriso all’Istituto Tumori

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons