Papa Francesco e la Cina
Fra le questioni che hanno avuto strascichi inevitabili, questa volta sono emerse quella delle prossime elezioni negli Usa e quella sui rapporti con la Cina, ovviamente legittimata dalla maggioranza cinese della popolazione a Singapore e dell’inevitabile necessità di toccare questo argomento ogni volta che papa Francesco lascia l’Europa per l’Oriente.
Tutti i suoi viaggi in Asia hanno suscitato domande e chiarimenti sul dragone cinese e sui rapporti con il governo di Pechino, che durante il pontificato di papa Francesco sono ripresi con un cauto ottimismo, legato in gran parte al documento provvisorio firmato nel 2018, rinnovato già una volta e che è ormai prossimo al possibile secondo rinnovo.
La questione, questa volta, è stata sollevata da una giornalista italiana, Stefania Falasca, che, sebbene lavori per Avvenire, sul volo papale – lo ha chiarito lei stessa – rappresentava la testata cinese online Tianou Zhiku. Già questo fatto ha un significato di novità non indifferente e mostra come la politica dei piccoli passi stia portando a collaborazioni a diverso livello, utili per continuare il processo di riavvicinamento fra Santa Sede e governo cinese.
Alla domanda della giornalista italiana, papa Francesco ha risposto con notevole sicurezza, senza tentennamenti, confermando che “il risultato [dell’accordo] è buono”. Soprattutto, ha avuto un certo peso il commento di Bergoglio: “Sono contento!”. Ed ha successivamente precisato: «Io sono contento dei dialoghi con la Cina, il risultato è buono, anche per la nomina dei vescovi si lavora con buona volontà. E per questo ho sentito la Segreteria di Stato, su come vanno le cose: io sono contento».
In effetti, è noto che non tutti nella Chiesa cattolica – anche in Cina – sono dello stesso parere del papa, ma Francesco continua a credere a questa politica dei piccoli passi e non perde occasione per parlare bene del grande Paese asiatico, della sua cultura e del fascino che suscita. E, soprattutto, non nasconde il suo desiderio, un giorno, di poterlo visitare.
E anche questa volta non si è tirato indietro: «La Cina è per me un desiderio, nel senso che io vorrei visitare la Cina, perché è un grande Paese; io ammiro la Cina, rispetto la Cina». D’altra parte non si può negare che, nonostante qualche imprevisto e sospensione come pure le perplessità di alcuni, il passo fatto nel 2018 ha portato dei frutti.
A questo proposito, una conferma della positività dell’accordo viene dalla nomina di due vescovi della Cina continentale fra i partecipanti alla ormai imminente seconda sessione del sinodo sulla Sinodalità. Si tratta di mons. Vincenzo Zhan Silu e di mons. Giuseppe Yang Yongquiang. Essi si aggiungono ad altri due prelati cinesi che saranno presenti nell’aula Paolo VI per la seconda fase dei lavori.
Il mondo cinese, infatti, sarà rappresentato anche dal vescovo – cardinale – di Hong Kong, Stephen Chow Sau yan, e da mons. Norbert Pu, Vescovo di Kiayi (Taiwan). Questa notizia è senz’altro un segno incoraggiante. Si pone, infatti, in linea di continuità con l’avvenuta partecipazione di altri due vescovi sia al Sinodo del 2018 che alla I sessione del sinodo sulla Sinodalità che si è tenuta lo scorso anno sempre a Roma.
Non va sottovalutato il fatto che prima del 2018, e quindi dell’Accordo provvisorio siglato dalle due parti, nessun vescovo della Cina continentale aveva mai potuto prendere parte né al Concilio né ai sinodi tenutosi fra gli anni Sessanta del secolo scorso e il primo decennio dell’attuale.
Si tratta, quindi, di un segnale importante che si aggiunge al fatto che mons. Zhan Silu e mons. Yang Yongquiang sono alla guida di due diocesi in cui i cattolici assommano a circa centomila. Una cifra importante nel contesto della Chiesa cattolica in Cina. Inoltre, dettaglio sottolineato dall’Agenzia Fides, mons. Zhan Silu era stato consacrato vescovo di Mingdong il 6 gennaio 2000, nella chiesa dell’Immacolata Concezione, allora cattedrale di Pechino, insieme ad altri quattro sacerdoti. Si trattava, però di un atto senza mandato pontificio. Si trattò di una delle fasi più problematiche dei rapporti fra Santa Sede e governo della Repubblica Popolare.
Tuttavia, diciotto anni più tardi, proprio in occasione delle trattative e delle disposizioni legate alla firma dell’Accordo provvisorio, mons. Zhan Silu è stato canonicamente legittimato. Il suo nome, infatti, figurava nella lista dei cosiddetti “vescovi ufficiali” che papa Francesco riammetteva nella piena comunione ecclesiale.
In questi anni di paziente tessitura diplomatica fra la Segreteria di Stato e il governo della Repubblica Popolare sono sempre state importanti – direi fondamentali – le affermazioni di apprezzamento di papa Francesco. È in quest’ottica che si devono comprendere le parole del papa, anche in occasione della conferenza stampa a bordo del volo di ritorno da Singapore. Bergoglio ha voluto confermare questo atteggiamento: «È un Paese con una cultura millenaria, una capacità di dialogo, di capirsi tra loro, che va oltre i diversi sistemi di governo che ha avuto». Ed ha aggiunto: «Credo che la Cina sia una promessa e una speranza per la Chiesa».