75 anni da Hiroshima e Nagasaki, aboliamo l’arma atomica
Le tragiche immagini che abbiamo negli occhi e nel cuore di Beirut del 4 agosto, sono drammaticamente evocative di quello che potrebbe essere uno scoppio nucleare, con una portata di morte distruzione inimmaginabile. Siamo al 75esimo anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Ricordare oggi quella tragedia mondiale non può essere solo fare memoria. Certo, prima di tutto non dimenticare ciò che è stato, ricordare le vittime. Papa Francesco, qualche anno fa, aveva diffuso su un cartoncino con la sua firma la foto del bambino di Nagasaki che aspetta il proprio turno nel crematorio per il fratello morto, che porta sulla schiena, con questo commento: “… il frutto della guerra”.
Ma la memoria deve portare all’impegno, oggi. Per questo Pax Christi International ha lanciato una Campagna, ripresa da Pax Christi Italia, proprio in occasione del 75esimo anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki: «la cosiddetta “sicurezza” offerta dalle armi nucleari si basa sulla nostra volontà di annientare i nostri nemici e la loro volontà di annientarci. A 75 anni dagli avvenimenti di Hiroshima e Nagasaki, è giunto il tempo per rifiutare questa logica di reciproca distruzione e costruire invece una vera sicurezza reciproca». Alla fine dell’appello, Pax Christi International e Pax Christi Italia sollecitano «la Conferenza Episcopale Italiana, in occasione del 75° anniversario dei bombardamenti atomici, a chiedere al nostro Governo di firmare il trattato di messa al bando delle armi atomiche» siglato in sede Onu nel 2017.
È un impegno che tocca tutti, non solo Pax Christi. È un lavoro che dura da anni con ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) a cui è stato assegnato il Nobel per la Pace 2017. In Italia si sta lavorando nei territori con la Campagna “Italia Ripensaci”, con Rete Disarmo, Rete della pace e tante altre associazioni, movimenti e singole persone che chiedono appunto l’adesione del nostro Governo al trattato firmato già da 40 Paesi. Il Vaticano è stato uno dei primi a firmarlo. La situazione oggi dell’arsenale nucleare mondiale è angosciante, non solo preoccupante. Si stima che la Nato abbia in Europa 150 bombe B61. E circa 60-70 di queste sono in Italia, a Ghedi e Aviano.
E, da tempo, si parla dell’arrivo delle nuove e potentissime B61-12. Fonti militari-politiche dicono che è ancora tutto da decidere. In ogni caso la situazione è già gravissima. Se, poi, arriveranno anche le B61-12 non si può che pensare al peggio! E l’Italia dovrebbe rispettare il Trattato di non proliferazione nucleare, che ha firmato nel 1975: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi». (Art. 2).
La pandemia Covid19 rende ancor più evidente la necessità di abolire le armi nucleari. In questi mesi l’intera famiglia umana è stata messa in ginocchio dal Coronavirus. Il bilancio globale delle vittime continua a crescere quotidianamente; la disperazione dell’umanità aumenta; gli effetti fisici, psicologici ed economici aumentano. Questa pandemia ha raggiunto praticamente tutti: abbiamo capito che siamo tutti vulnerabili e ci rendiamo conto che la vera sicurezza deve essere, in sostanza, condivisa. Le conseguenze dannose della pandemia Covid-19 impallidiscono rispetto a quelle che sarebbero capitate alla famiglia umana, e alla terra stessa, in caso di guerra nucleare.
Papa Francesco ci avverte che le armi nucleari costituiscono un affronto mortale non solo al benessere della terra e dei suoi abitanti, ma anche al nostro rapporto con Dio. Le armi nucleari sono un abominio. La «minaccia del loro uso, così come il loro possesso, è da condannare fermamente». Così si è espresso il papa nel discorso rivolto ai partecipanti del Simposio internazionale “Prospettive per un mondo libero da armi nucleari e per lo sviluppo integrale”, che si è tenuto presso la Santa Sede il 10 novembre 2017). Il movimento cattolico internazionale Pax Christi ribadisce oggi che «né la terra, né alcuna delle sue creature, sarebbe risparmiata dall’avvelenamento prodotto dalla radioattività risultante da una guerra nucleare, anche se limitata. Le colture appassirebbero e morirebbero mentre la luce del sole sarebbe bloccata dalle nuvole atmosferiche di polvere prodotta. La vita sulla terra sarebbe messa in grave pericolo. Come comunità umana stiamo imparando delle dure lezioni sulla nostra sicurezza collettiva durante questa pandemia globale».
È giunto il momento di affrontare la sfida e di cogliere l’opportunità per apportare le modifiche necessarie a salvaguardia del nostro futuro. Ma la finestra temporale che ci resta potrebbe essere troppo breve. «Se non riusciamo ad agire adesso e con decisione – conclude Pax Christi – per eliminare le armi nucleari dalla faccia della terra, giochiamo pericolosamente non solo con la pandemia ma anche con l’estinzione totale».
Il 6 agosto, giorno della bomba su Hiroshima, è la Festa della Trasfigurazione del Signore. Leggendo il nostro tempo è significativo riprendere una bella riflessione che veniva rilanciata dal Monastero di Bose, già qualche anno fa: «Ho visto una grande luce! Così, rientrando di corsa in casa la mattina del 6 agosto 1945, una giovane madre giapponese che abitava a un centinaio di chilometri da Hiroshima aveva esclamato abbracciando il suo figlioletto di dieci anni, Kenzaburo Oe, futuro premio Nobel per la letteratura. Aveva fatto la sua tragica comparsa all’orizzonte dell’umanità la bomba atomica. Luce di morte e di devastazione. Eppure il cristiano non può non collegare quella data (il 6 agosto) e quell’esperienza (“una grande luce”) alla festa della Trasfigurazione del Signore che proprio in quella data si celebra a partire dal IV secolo in Oriente e dall’XI in Occidente.
Così il Vangelo secondo Matteo descrive quell’evento indescrivibile: “Gesù fu trasfigurato (letteralmente: “cambiò d’aspetto”) davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni: il suo volto risplendette come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (Mt 17,2). (…) Celebrare la Trasfigurazione per un cristiano significa allora anche un appello alla responsabilità e un’esortazione alla com-passione, alla dilatazione del cuore nei confronti dell’uomo sofferente. (…) La Trasfigurazione diviene così il sì di Dio al Figlio che accetta la via della radicale solidarietà con gli oppressi e le vittime della storia. Mistero della sofferenza, allora, quello racchiuso al cuore della stessa Trasfigurazione: essa trova nel dinamismo pasquale di morte-risurrezione, di sofferenza-vivificazione la propria logica. (…) La Trasfigurazione diverrà una festa che già nell’oggi accende bagliori di speranza nei cuori e illumina le coscienze suscitando compassione, corresponsabilità, fraternità autentica».