Italia, se emigrano anche i giovani del Nord
Nell’arco di undici anni, dal 2011 al 2021, 451mila giovani fra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’Italia. Alcuni sono rientrati, ma il saldo rimane comunque di 317mila espatriati.
È stato stimato – da Valentina Magri e Francesco Pastore nel loro saggio Gioventù bloccata – che questa migrazione ci costi 4,5 miliardi di euro all’anno: «Uno spreco di risorse per il sistema di istruzione italiano, che si accolla i costi e cede i benefici all’estero».
Il dato che sorprende è che la maggior parte di questi giovani (47%), contrariamente a quanto accaduto in passato, partono da regioni del Nord Italia, le più ricche e dinamiche del Paese, dove le opportunità professionali non mancano e con il paradosso che molte imprese settentrionali hanno difficoltà a reperire personale giovane. Se combiniamo questa nuova emigrazione con la crisi demografica e l’invecchiamento della popolazione, il quadro che emerge presenta notevoli criticità.
Ma chi sono questi giovani e per quali ragioni hanno deciso di lasciare il nostro Paese? Per rispondere a queste domande la Fondazione Nord Est, il think tank delle categorie economiche, ha prodotto una ricerca dal titolo significativo: I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero. Propensioni e motivazione, da poco pubblicata, che ha arricchito il già ampio dibattito sulla fuga dei cervelli.
Il rapporto offre un’ampia analisi statistica dei flussi in ingresso e in uscita dal nostro Paese, componendo il contesto del fenomeno. Ma più interessante certamente è stato ascoltare la voce di chi parte e di chi resta, tramite due indagini che hanno coinvolto rispettivamente circa duemila partecipanti residenti e quasi novecento espatriati.
I giovani che partono sono in prevalenza laureati eccellenti di discipline linguistiche e informatiche con numeri importanti anche per le aree politico-sociale, comunicazione, arte, design ed economia. Un’altra caratteristica che emerge è la provenienza da famiglie ad alta scolarizzazione.
Le principali destinazioni sono all’interno dell’Europa: Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Regno Unito. Va subito osservato che, per ogni giovane di questi Paesi che sceglie di venire in Italia, sono invece sette i giovani italiani settentrionali che vanno verso questi territori. Nel grande gioco della “circolazione dei cervelli” l’Italia è decisamente poco attrattiva.
Questo dato quantitativo ben si combina con le motivazioni dell’espatrio dichiarate dai giovani settentrionali: i Paesi di destinazione offrono opportunità migliori di quelle domestiche, sia in termini di retribuzioni che di crescita professionale. Anche qui i dati aiutano a capire: la retribuzione media mensile di un giovane laureato triennale raggiunge i 1.806 euro all’estero, contro i 1.372 dell’Italia, per i laureati magistrali si raggiungono i 2.029 euro contro i 1.411 di chi rimane. È vero che in alcuni paesi come il Regno Unito il costo della vita è più alto, però in altri casi il costo della vita è allineato all’Italia.
La questione salariale è certificata anche dai trend dei dati Eurostat nello stesso periodo della ricerca: in Italia i salari reali sono diminuiti di quasi il 3% contro la crescita sopra il 30% di Germania e Francia, del 16% dei Paesi Bassi e del 6% in Spagna.
Ma il tema retributivo è solo una parte della storia. Le interviste realizzate ci raccontano di giovani che desiderano fortemente opportunità di mettersi in gioco, mostrare capacità e competenze, assumersi responsabilità. Ricercano un ambiente ed una cultura organizzativa che sappiano creare un clima aziendale piacevole, valorizzare i collaboratori, conciliare le esigenze lavorative con quelle della vita, in primis quella familiare.
C’è in sostanza un grande tema di cultura imprenditoriale, che nel nostro Paese assume spesso i caratteri di “padronale”, sintetizzando i caratteri di accentramento, poca disponibilità alla valorizzazione delle persone e alla conciliazione dei tempi di lavoro e di vita. Come dichiara un intervistato: «all’estero se rimani oltre l’orario non vieni premiato, ma considerato scarsamente organizzato ed inefficiente». Questo elemento culturale, insieme al tema retributivo e alle opportunità di crescita, porta solo il 16% degli espatriati a considerare una chance di rientro entro i prossimi tre anni.
Fra i partenti, e questo riguarda la parte più giovane (18-24), alcuni giovani settentrionali scelgono corsi universitari all’estero. Due sono le ragioni più rilevanti di questa scelta: una formazione universitaria più vicina al mondo del lavoro (un terzo degli intervistati) ed una qualità superiore della formazione stessa (un quarto delle risposte). Questo dato va però bilanciato con il fatto che la preparazione dei giovani italiani è molto apprezzata all’estero.
Entrando nelle condizioni di vita di chi vive all’estero, vi sono tre elementi particolarmente considerati: l’esperienza in una società multiculturale, la meritocrazia, l’offerta culturale, e subito dopo i servizi per la famiglia.
L’Italia «rimane attaccata addosso», come dichiara un’intervistata. Secondo le due indagini – dei partiti e dei rimasti – il nostro Paese mantiene certamente alcuni rilevanti punti di forza: l’arte, l’offerta culturale, il senso di comunità, pur risultando in parte poco capace di trattenere i propri giovani migliori.
Quali soluzioni? Il rapporto individua una serie di interventi che vanno dalla formazione alle infrastrutture digitali, passando per i servizi alla famiglia e quelli sanitari. Si sollecitano politiche per incrementare opportunità di lavoro coerenti con il titolo di studio, di miglioramento della gestione dei collaboratori, di apertura internazionale della società.
L’impressione è che questi interventi possano essere certamente utili, ma che il tema centrale sia più probabilmente il permanere di un modello culturale ancorato ad una visione del mondo del passato.
I giovani che scelgono di muoversi sono il presente ed il futuro, sono curiosi, intraprendenti, hanno voglia di mettersi in gioco, come risuona dalle loro voci. Sapremo, come Paese, dare ascolto ai segnali che ci mandano? Riusciremo a mettere in pista interventi seri? La sfida è enorme, anche perché la politica sembra preferire occuparsi soprattutto di chi sta uscendo o è uscito dal mercato del lavoro.
E più in generale vi è una grande resistenza a dare spazio a giovani in tutti gli ambiti della vita sociale italiana. Insomma è un tema di sistema, e ci coinvolge tutti.
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