“Biped”, spettacolo precursore della tecnologia virtuale
Facendo incontrare danzatori, musicisti e artisti visivi, il padre della modern dance statunitense Merce Cunningham (1919-2009) diede vita a una delle più singolari avventure dell’arte concettuale, astratta, formalista del Novecento. Di fertile attivismo fin quasi ai 90 anni, dopo aver ballato agli inizi con Martha Graham, approdò a un suo personale vocabolario epurato da aneddotica, simbolismi ed emozioni, sideralmente distante dalla sua maestra. Iconoclasta delle figurazioni coreografiche, Cunningham rivendicava un’idea di danza pura, là dove ogni rappresentazione diventava inadeguata. Da qui il suo rifiuto di qualsiasi relazione tra movimento e suono. La musica, quindi, autonoma e svincolata dalla danza, entrambe libere da una mutua subordinazione arrivando a produrre qualcosa di indipendente ma carico di sintonie e di somiglianze.
Dopo la morte, nel 2009, la sua Compagnia, per volere testamentario, è stata sciolta nel 2011 ma lo spirito pionieristico del coreografo, ribelle con ironia, sopravvive grazie al Merce Cunnigham Trust che ne gestisce i diritti permettendo che non vada perso il suo patrimonio coreografico da trasmettere ad altri corpi. Alcuni titoli sono entrati nel repertorio del Ballet de l’Opéra de Lyon (guidato da Cédric Andrieux), che ha reso omaggio al reinventore radicale della danza, con una storica coreografia del 1999 che risale alla fine della carriera di Cunningham, mostrando un artista completamente immerso nella sua estetica.
In Biped – spettacolo ospitato al Teatro dell’Opera di Roma per il Romaeuropa Festival – Cunningham si rivelava anche precursore della tecnologia virtuale e dell’intelligenza artificiale. Il computer, come strumento coreografico, gli consentì, pioneristicamente, di escogitare “movimenti impossibili” come quelli rotanti dell’epico Ocean, o magici, perché virtuali, come in Biped. Sulla originale musica live di Gavin Bryars – che unisce violino e sintetizzatore combinati con un ritmo percussivo –, la visionarietà di Biped, dove giganteschi cloni digitali nati dall’analisi informatica di movimenti umani s’intrecciano a ballerini veri, ha l’esito di un mix tra memorie storiche (le super-marionette di Gordon Craig e Oskar Schlemmer) e fantascienza onirica.
Astrazioni e geometrie animate di linee, forme, sfere e ideogrammi che fluttuano proiettati sullo schermo trasparente di tulle a tutta scena, sembrano immergere i danzatori – con costumi riflettenti essi appaiono e scompaiono dai lati e dal fondo –, dentro un mondo cosmico, dove i movimenti elastici e complessi di braccia, gambe e busto, creano frasi coreografiche, eleganti configurazioni e dinamiche interazioni con le immagini. Un incanto per gli occhi e per la mente, per la danza che continua a esplorare sé stessa. Perfezione, velocità, morbidezza dei danzatori del Ballet de l’Opéra de Lyon – deboli però nell’eseguire quel rigore tecnico dello stile di Cunningham -, corpi tenuti a esprimere una tranquillità emotiva che sola, secondo Cunningham, consente la concentrazione e l’astrarsi da sé per lasciare fluire il movimento.
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