Usa, Kamala Harris favorita dopo il dibattito con Donald Trump

La candidata democratica è uscita vincitrice, almeno nei sondaggi, dal dibattito con il candidato repubblicano. Un acceso duello in cui lei ha saputo incalzare l'avversario, apparso più confuso e in difficoltà
Il dibattito presidenziale negli Stati uniti tra Kamala Harris e Donald Trump. Foto Ansa EPA/JIM LO SCALZO

Tanto erano stati critici verso Joe Biden i titoli dei media dopo il primo dibattito con Donald Trump, tanto ora evidenziano la rimonta della nuova candidata presidente Kamala Harris nel secondo dibattito: è questo il – in qualche misura atteso, in realtà – colpo di scena nel percorso verso le elezioni presidenziali americane, che si terranno il prossimo novembre.

I commenti degli opinionisti sono tutti molto simili, sia in patria che all’estero: una Harris apparsa molto “carica”, capace di incalzare Trump andando a “stuzzicarlo” (è “trigger” il verbo più utilizzato negli articoli in lingua inglese, e giova ricordare che “trigger” in inglese è anche il grilletto), a fronte di un Donald Trump apparso nervoso, più in difficoltà, e inciampato su numerose falsità – su tutte quella che i democratici vogliano consentire l’aborto fino al nono mese e sopprimere i bambini anche alla nascita, o quella che gli immigrati mangiano i cani e i gatti degli americani – immediatamente smentite dai moderatori, a cui questa volta è stato consentito fare fact checking.

Il New York Times titola «Harris mette Trump sulla difensiva in un dibattito acceso», giocato in particolare sui temi dell’aborto, dell’economia e della politica estera. «Kamala Harris ha dominato il primo dibattito contro Donald Trump – scrivono i commentatori – mettendo in luce le sue doti di procuratore […] Lui ha parlato di più, ma è stata lei a condurre la serata». Numerosi i punti salienti citati: il fatto che «Harris ha teso delle trappole e Trump ci è caduto», quello che l’ex presidente sia apparso più intento a difendere il suo operato nello scorso mandato che a guardare al futuro – genericamente dipinto a tinte fosche se i democratici vinceranno -, lo sdegno mostrato per l’avversaria urlando nel microfono. Tutti atteggiamenti che hanno dato buon gioco alla Harris nell’usare toni molto forti, come affermare che i leader politici nel mondo ridono di Donald Trump, che lui è più interessato a difendersi dalle accuse (anche giudiziarie, su tutte quelle relative all’assalto al Campidoglio) che gli vengono rivolte che a difendere gli americani, e che altri quattro anni con lui saranno «la stessa, solita, vecchia storia».

Unica critica fatta a Harris, il fatto di essersi occupata più di evidenziare le criticità nel programma di Trump che i punti del proprio, non a caso definito da diversi commentatori come ancora piuttosto vago in particolare su temi come l’economia e l’immigrazione.

Toni e contenuti sostanzialmente analoghi nel Washington Post, che si sofferma anche su come «il dibattito ha dimostrato come le dinamiche siano molto cambiate dall’uscita di Biden» e «Trump ha spesso risposto in maniera difensiva e poco chiara», così come lo staff della Harris aveva sperato.

L’articolo solleva anche un’altra questione, in realtà descritta più in dettaglio dal San Francisco Chronicle, ossia che la Harris ha paradossalmente beneficiato del fatto di essere poco conosciuta dagli americani (quasi un terzo degli elettori, secondo un sondaggio citato da quest’ultima testata, afferma di non conoscerla abbastanza): il che ha fatto sì che l’ottima performance di una serata abbia pesato molto di più nel formare quella “prima impressione” che, gli psicologi insegnano, è poi più difficile da scalfire – specie nel caso di elezioni imminenti. Secondo un sondaggio “a caldo” della CNN Harris ha raccolto oltre il 60% dei consensi; e uno del Washington Post, effettuato nello specifico tra un gruppo di elettori senza appartenenza partitica degli Stati in bilico, ha registrato percentuali ancora più alte a favore della candidata democratica. Non solo: il 40% di coloro che prima del dibattito si dicevano orientati a votare per Trump (ricordiamo che si parla di elettori cosiddetti “uncommitted”, ossia indipendenti o che comunque non hanno fatto una scelta), dopo il dibattito si sono detti orientati a votare per Harris. Almeno “a caldo”, insomma, la serata ha avuto la potenzialità di spostare voti.

Altra cosa interessante che fa notare il Los Angeles Times è come buona parte del dibattito si sia giocata su Trump e sul fatto che ciò che lui diceva fosse o meno una falsità: certo una questione di estrema rilevanza, ma che ha tolto spazio ai reali contenuti in particolare a vantaggio di Harris, che ha così potuto evitare di chiarire i suoi cambiamenti di posizione su temi controversi come il fracking (una tecnologia per estrarre idrocarburi dalle rocce ritenuta ad alto impatto ambientale, ndr) e la proposta di eliminare le assicurazioni sanitarie private. Il risultato è che mentre «normalmente le elezioni diventano un referendum sul partito che è al potere», questa volta sono diventate «un referendum sull’ex presidente repubblicano».

Referendum sul cui esito non ci sono comunque ancora certezze: la stessa Harris ha affermato dopo il dibattito che «siamo ancora degli underdog», gli sfavoriti. Stesso termine, peraltro, usato da Giorgia Meloni nel descrivere il suo passaggio da partito di minoranza al trionfo elettorale della prima donna a capo del governo: se anche in questo caso andrà allo stesso modo, lo diranno gli elettori americani a novembre.

Curiosità: all’inizio del dibattito, nello stringere la mano a Trump come da tradizione, Harris si è anche presentata, non essendosi i due mai incontrati. Trump le avrebbe semplicemente risposto «Have fun», divertiti. E, ha osservato il New York Times, pare proprio che lei l’abbia preso in parola.

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