Le radici tamil di Kamala Harris
Mi trovavo a New York proprio in concomitanza con la Convention democratica di Chicago. Ogni sera, per quattro giorni di fila, eravamo in molti incollati allo schermo a seguire la kermesse democratica. La grande attesa era per l’ultima serata, con il discorso di Kamala Harris di accettazione dell’ormai scontatissima nomination
Devo dire che l’intervento della Harris alla Convention di Chicago è stato preparato ad arte. A precederlo, ovviamente, politici di rango, ma anche esperienze di vita di persone che hanno ripercorso storie di migrazione, l’onta della discriminazione di vario genere e vite di persone che hanno saputo perdonare quando avrebbero potuto rispondere con la vendetta.
Non sono mancate testimonianze all’interno della sua famiglia, un emblema della diversità etnica e religiosa. Interventi fondamentali perché hanno fatto apparire l’intervento di Kamala non tanto come uno show personale, ma come espressione del desiderio di raccontare una cultura che già esiste e che vuole trovare la sua via per continuare a vivere e diffondersi.
Non c’era ideologia dietro quanto si susseguiva sul palco, o almeno l’idea era chiaramente quella di far passare valori, certo non condivisi da tutti anche negli Stati Uniti, paladini dei diritti umani soprattutto a casa degli altri. Valori che evidentemente volevano, poi, trovare una parola di senso in quello che una donna di colore, americana ma con radici indiane e giamaicane, avrebbe detto a chi la sostiene verso la possibilità di entrare alla Casa Bianca.
E Kamala Harris ha subito chiarito, dopo un interminabile applauso che l’ha accolta sul palco, che la sua non sarà – qualora diventasse presidente o presidentessa – una presidenza democratica ma per tutti gli americani. È arrivata a fare la proposta esplicita di inserire nel suo potenziale gabinetto un ministro repubblicano.
Tuttavia, questo breve commento non vuole essere un’analisi del discorso della candidata democratica e delle sue possibilità o meno di successo. Quello che mi pare importante mettere in rilievo è quanto, dalle sue parole, dal suo body-language, dal suo essere, siano emerse caratteristiche delle sue radici tamil. Non parlo semplicemente di radici indiane, ma tamil.
La Harris, infatti, è figlia di Shyamala Gopalan, che alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, appena diciannovenne, partì da Madras (ora Chennai) per gli Usa, per conseguire un master e, successivamente, un dottorato.
A quel tempo era ancora problematico per gli indiani, soprattutto del sud e in particolare brahmini, recarsi all’estero. Andava contro le tradizioni locali e significava il rischio di una contaminazione della purezza. Ma la famiglia lo permise e la giovane intraprese gli studi, alla fine dei quali conobbe un giovane giamaicano – Donald Harris – che sposò e dal quale ebbe due figlie: Kamala e Maya.
Dopo la separazione e il divorzio dei genitori, la madre soleva portare ogni anno le figlie a Madras, capitale dello stato del Tamil Nadu nel sud India, a trascorrere le vacanze con la sua famiglia, e Kamala ha ricordato le lunghe passeggiate sulla Marina Beach di Chennai con il nonno e i suoi amici.
È stato molto interessante ascoltare questa donna che potrebbe essere il prossimo presidente degli Stati Uniti raccontare dell’importanza che i discorsi ascoltati da quegli uomini adulti hanno avuto per lei. Sono stati momenti che l’hanno formata ad una mentalità politica. E Kamala ha tenuto a ricordarli e a riviverli con tutte le migliaia di sostenitori presenti a Chicago e i milioni collegati per via televisiva.
Sono dettagli che fanno riflettere. Questa donna che, forse, si trova ora alle soglie della Sala Ovale della Casa Bianca ha delle radici che affondano in una terra, una cultura e una religiosità che sta dall’altra parte del mondo.
La cultura tamil è, infatti, un sistema profondamente radicato tanto da far concorrenza a quella ariana che pretende di essere all’origine di quello che è poi diventato il mondo del sub-continente indiano. In effetti, i tamil, che si ritengono precedenti agli ariani, hanno saputo resistere ai processi di arianizzazione e restare tipicamente ancorati – e lo sono ancora oggi – alla propria tradizione, che rappresenta il fulcro del sud India.
Per capire cosa significa il tamil e lo stato del Tamil Nadu, che raccoglie la maggioranza di questa etnia e tradizione (precedente a tutte le affiliazioni religiose) basta riferirsi al fatto che l’attuale Primo Ministro Modi, che predica l’ideologia dell’Hindutva, tipica dell’arianizzazione del centro-nord dell’India, non è ancora riuscito ad ottenere un seggio in Tamil Nadu.
Harris , come detto, è un tipico prodotto dell’America della seconda metà del secolo scorso e dei primi decenni dell’attuale: una sintesi etnica, culturale, valoriale e di tradizioni. È considerata una donna di colore e, come tale, se la spuntasse, sarebbe la prima donna presidente con queste caratteristiche (e il secondo presidente dopo Barak Obama). Ma al fondo del suo essere restano forti elementi della cultura tamil, a cui anche a Chicago ha dimostrato di restare profondamente e orgogliosamente attaccata. E anche quella sua promessa di essere “presidente di tutti gli americani” mette l’accento sulla dimensione comunitaria che la cultura del sub-continente indiano e quella tamil in particolare portano con sé.