La vita al tempo di Gesù spiegata attraverso i reperti archeologici
È il luogo dove il viaggio può iniziare o anche terminare. Il Museo archeologico dello Studium Biblicum Franciscanum (SBF) situato a Gerusalemme, nel santuario della Flagellazione è un unicum per la storia cristiana e della Terra Santa. Il museo è parte del più ampio progetto Terra Sancta Museum il quale, sostenuto anche dall’associazione senza scopo di lucro Pro Terra Sancta, intende mettere in rete tutte le sedi museali della Custodia.
Fondato nel 1902 il museo raccoglie, conserva e valorizza i reperti frutto di scavi di studiosi francescani nel campo dell’archeologia biblica. Pur avendo una identità forte e precisa nell’ambito del cristianesimo, è aperto alla conoscenza storica del Vicino Oriente. «La forza dell’archeologia francescana – spiega Daniela Massara, direttrice esecutiva e curatrice per le collezioni archeologiche – è che non trascura nulla. Gli archeologi francescani, pur puntando sul cristianesimo, studiano ogni periodo storico dall’età del bronzo a quella ottomana».
Direttrice Massara, di qui la sua importanza anche per il Vicino Oriente?
Sicuramente. Infatti una sala del museo è dedicata alla Mesopotamia, all’Egitto e alla Siria. Abbiamo tavolette cuneiformi dei sumeri, sigilli della Mesopotamia. Pur essendo culture lontane dal cristianesimo e dall’ebraismo, in realtà hanno elementi che si ritrovano in queste religioni. I grandi archeologi dello Studium Biblicum – penso agli scavi di Cafarnao dei francescani Virgilio Corbo e Stanislao Loffreda, alle scoperte a Betania di padre Sylvester Saller, agli scavi di Nazareth di padre Bellarmino Bagatti e a quelli di Michele Piccirillo in Giordania – hanno arricchito enormemente la conoscenza del Vicino Oriente. Un libro sui monasteri della zona di Betlemme di padre Corbo è ancor oggi un’opera fondamentale, come pure gli studi di Loffreda sulla ceramica palestinese e le lucerne bizantine. Prima di lui le iscrizioni cristiane incise sulle lucerne non erano state interpretate.
Quali sono i reperti più importanti che il museo custodisce?
Per gli inizi del cristianesimo quelli di Cafarnao e del Santo Sepolcro. A Cafarnao, ‘città di Gesù’, i francescani Corbo e Loffreda hanno portato alla luce i resti di una casa del primo secolo che la venerazione attribuisce a san Pietro. Nel museo abbiamo oggetti di vita quotidiana trovati lì: piombini delle reti da pesca, una pentola da cucina, la lucerna, materiali per riparare il tetto. Essi permettono di avere un’idea degli usi e costumi del tempo. Del Santo Sepolcro sono esposti, nell’ala dedicata a padre Sylvester Seller, primo direttore del museo, parti di colonne, basi e capitelli originali della basilica costantiniana. Significativi sono anche i reperti di Magdala, importante città portuale sul ‘Mare di Galilea’. Il museo espone frammenti di un pavimento a mosaico che riproduce una imbarcazione da pesca, simbolo del lago. È un reperto che fa effetto.
Che contributo il museo fornisce alla comprensione della Bibbia
Dalla cultura materiale presente è possibile farsi un’idea di come si svolgeva la vita al tempo di Gesù. Inoltre è possibile anche capire certe affermazioni degli evangelisti che sembrano strane. Penso al miracolo di Gesù alle nozze di Cana. Nell’iconografia medievale sono raffigurate delle anfore romane, i vangeli invece parlano di vasi di pietra. In effetti sono quei vasi, usati per le abluzioni prima del banchetto, che Gesù chiede di riempire di acqua. Questi vasi sono stati trovati nelle abitazioni più ricche del tempo. Un altro esempio. I vangeli raccontano che Pietro paga la tassa al tempio per sé e per Gesù, perché? La tassa era di mezzo siclo, al tempo si usavano però monete da un siclo, quindi era prassi normale pagare per due. Insomma la cultura materiale, i reperti esposti nel museo, permettono di chiarire molti dettagli del Nuovo Testamento.
Qual è la visione della Terra Santa che il museo mette in risalto?
Una Terra Santa biblica molto estesa, senza confini politici, legata alla storia divina e al passato. Evitiamo di entrare nella storia attuale.
Come è integrata l’attività di studio e di ricerca archeologica con quella degli altri istituti?
I francescani svolgono un ruolo di ponte tra l’archeologia israeliana e quella palestinese. Per legge le istituzioni israeliane e palestinesi non possono lavorare insieme, la Custodia, invece, può lavorare con tutti.
Il museo è uno strumento di dialogo?
Sicuramente sì, perché aiuta a prendere coscienza del passato per quello che è, non su basi ideologiche. Questo spesso manca nelle scuole, poiché c’è la volontà di usare la storia per giustificare gli atti politici attuali. Nelle scuole islamiche la storia insegnata parte da Maometto e ignora i periodi precedenti. Non è un’ignoranza da poco. Viene meno la consapevolezza che il territorio è stato luogo di incontri, di culture diversissime tra loro. Questo si vede bene nei commerci: abbiamo anfore che provengono da tutto il Mediterraneo. Il museo cerca di offrire la possibilità a tutti di riscoprirsi uomini che ereditano una ricchezza.
Il museo quale apporto formativo fornisce nei pellegrinaggi?
Il pellegrinaggio è l’occasione per immergersi nei paesaggi, alcuni dei quali rispecchiano ancora quelli che vedevano Gesù e gli apostoli. Mancano, però, i piccoli oggetti che hanno reso possibile datare quei luoghi e immaginare come erano vissuti. Alla fine del pellegrinaggio, il museo, mediante i reperti archeologici – ossia gli oggetti trovati nel corso degli scavi -, può dare concretezza alla vita degli uomini che abitavano quei luoghi. È un valore aggiunto che completa il senso dell’esperienza spirituale del pellegrinaggio.
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