Spiragli di dialogo dall’Iran

L’elezione a inizio luglio del nuovo presidente della Repubblica islamica iraniana, Massoud Pezeshkian, offre segnali di dialogo tra Iran e Usa e mette in pausa l’opzione guerra. Molto dipende però da chi sarà il nuovo presidente Usa e se Netanyahu accetterà la tregua a Gaza e in Cisgiordania.  
Masoud Pezeshkian EPA/ABEDIN TAHERKENAREH

La notizia, provenendo dall’Iran, non è purtroppo sensazionale: il fatto sarebbe avvenuto a Lahijan, non lontano dalla sponda meridionale del Mar Caspio, nella provincia di Gilan a nordovest di Teheran. Il 29 agosto scorso, mentre era in custodia della polizia locale, è morto Mohammad Mir Moussavi, un uomo di 36 anni che era stato arrestato il 22 luglio “per rissa”. Sulla motivazione dell’arresto e ancor più sulla misteriosa e sospetta morte è inevitabile nutrire dubbi, soprattutto dopo il notissimo episodio della morte a settembre 2022, in analoghe circostanze, di Mahsa Amini, la 22enne arrestata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente l’hijab, il velo islamico obbligatorio in Iran per tutte le donne.

A conferma, il sito dell’Organizzazione Hengaw per i diritti umani nel Kurdistan iraniano e in Iran, con sede in Norvegia (hengaw.net), denuncia che che Mir Moussavi «è stato ucciso sotto tortura nel centro di detenzione» della polizia. L’Oganizzazione Hengaw, e non solo quella, denuncia da tempo torture e abusi della polizia iraniana ed esecuzioni capitali di dissidenti. Indicando con precisione nomi, luoghi e circostanze.

Ma c’è una novità, che paradossalmente Mohammad Mir Moussavi avrebbe forse apprezzato. Un comunicato dell’agenzia ufficiale Irna, afferma che «il capo della polizia della città di Lahijan è stato licenziato a causa della mancanza di monitoraggio del comportamento dei suoi agenti». Secondo la stessa polizia il comandante e gli agenti coinvolti sono stati sospesi. I media locali affermano che chi avrebbe chiesto l’indagine sui poliziotti e la loro sospensione sarebbe stato addirittura il neo-presidente della Repubblica islamica, Massoud Pezeshkian. Una cosa impensabile al tempo di Raisi.

Eletto a inizio luglio, dopo la morte in un incidente di volo (19 maggio) del predecessore, l’ultra-conservatore Ebrahim Raisi, Massoud Pezeshkian più che un riformista lo si può considerare un moderato.

Dopo anni di un regime sempre più oppressivo, il fatto che il Consiglio dei Guardiani presieduto da Khamenei abbia sdoganato la candidatura di un moderato è già di per sè degno di nota. Da rilevare che lo stesso Consiglio dei Guardiani ha respinto ben 74 candidature alla presidenza.

Al ballottaggio, forse per scongiurare l’avvento di un altro ultra-conservatore, i votanti sono arrivati quasi al 50% degli aventi diritto, mentre al primo turno si era recato alle urne meno del 40%, l’affluenza più bassa di sempre.

Pezeshkian ha così ottenuto il 53,3%: circa 16,3 milioni di voti, che in una repubblica con 91 milioni di abitanti e 61,5 milioni di elettori, non è comunque un segno di grande partecipazione né di fiducia nelle istituzioni. Eppure il consenso verso Pezeshkian sembra migliorato parecchio rispetto a quello per Raisi, il suo rigido predecessore.

Se non altro, su alcuni temi decisivi, l’opinione di Pezeshkian mostra spiragli di apertura. Due esempi significativi: il primo è la sua ribadita affermazione di voler migliorare le relazioni con l’Occidente, Usa compresi, e di voler aprire spazi ad investimenti stranieri.

Su questo tema è importante ricordare che chi affossò unilateralmente nel 2018 l’esile ma concreta speranza di dialogo con l’Iran del trattato sul nucleare iraniano (jcpoa) firmato nel 2015, oltre che dall’Iran, da Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Usa e Germania fu Donald Trump, spalleggiato dal premier israeliano Netanyahu.

Oggi, l’affermazione di Pezeshkian su rinnovate relazioni con l’occidente è in pratica un investimento sull’elezione di Kamala Harris e un sostegno alle centinaia di migliaia di israeliani che chiedono la caduta del governo di “Bibi” Netanyahu, la tregua con Hamas e la liberazione degli ostaggi.

Il secondo esempio di apertura di Pezeshkian è sull’obbligo per le donne di indossare l’hijab negli spazi pubblici. Il neo-presidente ha detto che non vuole (o più probabilmente non può) abrogare quell’obbligo, ma ne ha criticato l’applicazione. È di Pezeshkian questa frase pronunciata pubblicamente durante le proteste contro la polizia morale (responsabile della morte di Mahsa Amini): «Le proteste sono colpa nostra. Vogliamo attuare la fede religiosa attraverso l’uso della forza. Questo è scientificamente impossibile».

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons