A Venezia la vita e la morte

La Mostra affronta temi forti. Eutanasia e guerra nei film di Almòdovar e del nostro Gianni Amelio.
Gianni Amelio ANSA/ETTORE FERRARI

Tra le sfilate delle grandi star omaggiate dal delirio dei fans, il cinema, quello vero, si prende la sua parte. E parla di argomenti scottanti, se non essenziali. È così che Pedro Almòdovar, 75 anni, nel suo primo film in inglese The Room Next Door affronta con sicurezza il tema del fine- vita, chiarendo la sua posizione: ognuno ha il diritto di scegliere come morire con dignità.

Ecco perché le due amiche, Tilda Swinton e Julianne Moore, che si ritrovano dopo anni, vivono insieme l’attesa della morte. Con dignità si stanno accanto, parlano, soffrono e offrono una lezione di cinematografia con una recitazione vera ed appassionata. Martha, che ha un tumore incurabile ed Ingrid si stanno vicine, lottano, e affrontano il tema della fine – nel nulla o in un luogo ignoto? -, convinte di vincere la morte, precedendola con una decisione personalissima.  È il messaggio del regista spagnolo, in odore di Leone, che evita per una volta gli eccessi formali e si concentra più del solito sull’essenziale.

Sul versante italiano, due registi affrontano il tema della guerra, argomento che si tende sempre a rimuovere, nonostante viviamo in un autentico tempo di guerra degli uni contro gli altri. Gianni Amelio parla in Campo di battaglia della Prima Guerra mondiale, su cui le nuove generazioni sanno ben poco, rimosso anche dalla memoria collettiva salvo alcuni anniversari o personaggi “eroici”.

Invece Amelio non ne ha paura e grazie anche alla interpretazione coinvolta di Alessandro Borghi racconta la storia di due medici al fronte, l’uno sensibile alle paure dei soldati e l’altro più duro. Non ci sono scene sanguinose perché il racconto è visto dall’interno, dei soldati, dei due medici, di una ragazza che vuole studiare medicina. Un ritratto dell’orrore per la guerra, asciutto e privo di ogni retorica.

E di guerra ancora, questa volta il Secondo conflitto mondiale, parla  Vermiglio, il film di Maura Delpero, acuto,  preciso, che ricorda un po’ Olmi: storia di un paesino trentino – Vermiglio appunto – dove c’è la guerra e ci sono le stagioni che si alternano sopra l’orrore umano. Il dramma è presentato ed è accettato quasi come inevitabile, con commozione sobria. La stessa che pervade il riservato film di Amelio.

Su un fronte ben diverso si situano altri lavori. Nicole Kidman affronta il sesso estremo vissuto da una potente manager nel thriller  erotico Babygirl, un tema in verità ormai sfruttato da anni e che rischia di produrre stanchezza, mentre i gemelli Ludovic e Zoran Boukerma nel loro film Leur enfants après eux parlano di un adolescente, Anthony, che si forma alla rabbia nella provincia francese. Un lavoro che osserva la fragilità emotiva dei ragazzi di cui sono piene le cronache di questi tempi.

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