Venezia 81, partenza alla grande
Ha gli occhi spenti, tristissimi. Non c’è gioia. È una Angiolina Jolie che è certo segnata dai dolori familiari recenti – di cui preferisce non parlare – e che perciò è stata forse più in grado di comprendere la fine solitaria, amara e disillusa della Callas nel film Maria di Pablo Larraìn.
Si narra l’ultima settimana di vita della Diva, assistita solo dai due servitori fedeli, Bruna (Alice Rorwacher) e Ferruccio (Pierfrancesco Favino), quando lei sogna inutilmente di tornare a cantare, ricorda il passato (grazie a flasback che raccontano la sua infanzia dura, la madre terribile, l’amore con Onassis, i trionfi…) ma esso non torna e non tornerà più. Senza essere un capolavoro, il film, applauditissimo da tutti, entra nel vivo di quella che è stata definita “la più grande cantante lirica del mondo”. Il che non è vero, perché prima e dopo di lei c’erano fior di artiste dalla voce anche più bella della sua, come la Tebaldi. Ma Maria aveva un carisma: “era” ciò che interpretava, le eroine tragiche come Violetta, Lucia, Norma, Medea e Tosca. Col rischio di credere che il teatro fosse anche vita reale, come le è capitato. Film intenso, recitato con dolente partecipazione da Angiolina il cui sguardo appannato ricorda quello dell’ultima Callas. Forse in odore di Leone o di Oscar?
Diverso è il caso di un’altra diva, cioè Cate Blanchett, australiana sempre perfetta, protagonista del thriller Disclaimer di Alfonso Cuaròn, dove lei è una giornalista inglese di successo che svela le malefatte e le trasgressioni altrui. Solo che la vita le chiede il conto, quando anche il suo lato oscuro viene alla luce. Accettarlo, percorrerlo, rifiutarlo? Cate è bravissima nel dar corpo a questo dilemma, che è poi possibile sperimentare da parte di ciascuno di noi. Un film intrigante, da non perdere.
E passiamo a Monica Bellucci entrata nel mondo onirico, favolistico, orrorifico del suo compagno Tim Burton in un film dove si imbruttisce senza perdere glamour. Qui paradiso e inferno, vita terrena e vita oltre la morte si coagulano in un racconto fiabesco, da vedere con gli occhi dei bambini che amano le favole nere, come è Tim Burton. Applausi: al film o alla Bellucci?
I passi dell’Italia
Se Valerio Mastandrea ha presentato il suo secondo lungometraggio dal titolo misterioso Nonostante – dove ha il coraggio di mettersi a nudo raccontando una storia di amore in un ospedale, un luogo insolito, ma con grande discrezione -, Sergio Rubini ha mostrato la sua serie su Leopardi Il poeta dell’Infinito (titolo un po’ ovvio) in cui il poeta e filosofo gobbo e solitario è certo un uomo fragile, ma innamorato della vita. Perciò il protagonista Leonardo Maltese non ha la gobba, però l’aspetto timido e arrogante insieme del poeta di Recanati, questo sì, insieme a Cristiano Caccamo (Antonio Ranieri) e ad Alessio Boni (il padre Monaldo). Altra cosa, naturalmente, dal film con Elio Germano. A dicembre, in televisione.