Chi non vuole la tregua a Gaza?

Tra i negoziatori del Cairo (e del Qatar) c’è chi non vuole allargare il conflitto, e chi invece freme per allargarlo il più possibile.
Foto Ansa, EPA/HAITHAM IMAD

In un commento al massiccio attacco “preventivo” israeliano (100 aerei) contro basi Hezbollah nel sud del Libano, del 25 agosto, e relativa risposta (320 missili e droni) immediata ma contenuta, Pierre Haski, noto giornalista radiofonico di France Inter, ripreso da Internazionale.it del 26.8.2024, afferma: «La tentazione della guerra totale esiste da entrambe le parti. Sul fronte libanese il numero crescente di vittime registrate negli ultimi mesi nei ranghi di Hezbollah alimenta il desiderio di vendetta. In Israele, di contro, si fanno sentire gli appelli a lanciare un’offensiva generale per stroncare il movimento sciita, anche all’interno del governo. Il ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir (estrema destra) ha attaccato pubblicamente il capo dello Shin bet, i servizi segreti, che aveva sottolineato i rischi di un terrorismo estremista ebraico, invitandolo ad “andare a combattere Hezbollah anziché criticare!”».

Non entro nel merito del pericolo che l’episodio potesse dare il via al tanto temuto allargamento del conflitto, vorrei solo sottolineare che c’è chi non vuole nonostante tutto allargare il conflitto, e chi invece freme, come il leader di Potere ebraico Ben Gvir, per allargarlo il più possibile attraverso una sorta di benedizione della hybris [orgoglio] collettiva. E in questa sua “visione”, Ben Gvir è fortemente appoggiato dal collega di governo, e ministro delle finanze, Bezalel Smotrich (di un altro partitino rigorosamente di estrema destra), che ad inizio agosto se n’è uscito con una frase che ha fatto inorridire (purtroppo solo inorridire, senza seguito) mezzo mondo: «Non possiamo, nell’attuale realtà globale, gestire una guerra. Nessuno al mondo ci permetterà di far morire di fame due milioni di persone, anche se potrebbe essere giustificato e morale per liberare gli ostaggi». Sottolineo l’anche se: è giustificato e morale far morire di fame due milioni di persone.

Il terzo personaggio chiave di questo “bellicoso” governo israeliano è il premier Benjamin Netanyahu, che si indigna perchè Hamas non accetta la tregua che lui stesso mostra di non volere, ponendo condizioni non negoziabili. E bloccando continuamente l’accesso dei civili di Gaza agli aiuti umanitari.

Ma come? Non era stato Hamas a scatenare la carneficina il 7 ottobre 2023? Ognuno legge la storia come gli conviene e si indigna come da copione previo, ma la storia non fa sconti, alla lunga neppure a chi si considera vincitore.

A me sembra doveroso qui ricordare quanto il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, disse poco dopo l’inizio dell’indignata vendetta israeliana, ancora ad ottobre 2023: «È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione».

Ha poi precisato che, come le rivendicazioni dei palestinesi «non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas», così «questi spaventosi attacchi non possono giustificare la punizione collettiva»dell’intero popolo della striscia di Gaza. E della Cisgiordania, aggiungerei, anche alla luce dell’ennesimo e illegale maxi assalto a Jenin dei giorni scorsi.

Elias Sanbar, palestinese, uomo di grande cultura ed ex diplomatico, ipotizza nel suo ultimo libro di qualche mese fa (La dernière guerre? – Tract Gallimard 2024) che la guerra lanciata da Netanyahu abbia come vero obiettivo quello di portare a compimento la Nakba iniziata nel 1948. La Nakba (catastrofe, in arabo) del 1948 fu l’esodo forzato di 700 mila arabi palestinesi. E fu l’inizio della diaspora.

Oggi, secondo i dati disponibili, degli oltre 12 milioni di palestinesi, quelli della diaspora sono circa la metà: oltre 5 milioni sono rifugiati in Paesi arabi, soprattutto in Giordania, Siria e Libano (in condizioni precarie da più di 70 anni!), il resto soprattutto in Usa, Canada, Australia e Sudamerica.

L’altra metà dei palestinesi (gli altri 6 milioni) sono a Gaza (1,85 milioni), in Cisgiordania (2,9 milioni) e in Israele (1,5 milioni).

Probabilmente Netanyahu, Smotrich e Ben Gvir puntano sul più volte invocato annientamento di Hamas (ma anche su quello di Hezbollah, dell’Iran, degli Houti e di tutti gli “antisemiti” presenti nei paraggi) e sulla deportazione, che loro chiamano esodo volontario di almeno 3 milioni di palestinesi (di Gaza e della Cisgiordania). Dove spedirli questa volta? Ci sono alcuni che già se lo chiedono: forse in Africa o in Sudamerica, magari un po’ ciascuno in parecchi Stati qua e là per il mondo. Basterebbero per dare spazio al sogno ultra-sionista di uno stato ebraico “dal mare al fiume” senza l’ingombro di uno stato palestinese? E poi? A me questo non sembra molto diverso dal califfato, e realizzato con metodi magari un po’ più acculturati ma simili. Da Corte penale internazionale, insomma.

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