Messico, magistrati in sciopero per la riforma giudiziaria di Obrador

Forte di un'amplissima maggioranza, il presidente uscente López Obrador vuole varare la promessa riforma della giustizia, che prevede l'elezione popolare dei giudici. Magistrati e opposizione avvertono un rischio per l'indipendenza del potere giudiziario e la qualità della democrazia.
Il presidente del Messico Andres Manuel Lopez Obrador. Foto Ansa, EPA/DAVID DE LA PAZ ANSA-CD

Prima di lasciare il testimone (dal 1° ottobre 2024) alla neo-eletta presidente Claudia Sheinbaum, il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador è determinato a compiere una sua promessa elettorale e dotare il Messico di un’amministrazione giudiziaria “pulita” ed efficiente.

Le elezioni federali del 2 giugno hanno lasciato alla coalizione dominata dal suo partito amplissime maggioranze in entrambe le Camere, che gli permettono di approvare quasi automaticamente progetti di modifiche costituzionali, anche in virtù di una normativa elettorale che riconosce al vincitore un premio di maggioranza. L’opposizione lancia l’allarme sulla concentrazione del potere nelle mani dello stesso partito, Morena, anche se è ben cosciente di aver beneficiato essa stessa non troppi anni fa del sistema che ora critica.

Ora alle proteste si aggiungono i magistrati, i giudici e i funzionari giudiziari, in uno sciopero indefinito che dal 21 agosto paralizza i tribunali di almeno 20 dei 32 Stati della federazione, nei quali saranno assicurati solo i procedimenti urgenti.

La riforma in effetti sarebbe radicale: elezione popolare diretta dei giudici, riduzione della durata degli incarichi e del numero dei ministri delle alte corti, divisione dell’organo disciplinare della magistratura in due istituzioni e fissazione di termini massimi per l’emissione di sentenze. Non sarebbe più possibile sospendere l’applicazione di una legge mentre si è in attesa di una sentenza. Sono alcune tra le nuove regole di procedimento processuale previste dalla riforma. Il potere giudiziario perderebbe oltre 1.600 cariche designate, che passerebbero ad essere elettive; gli stipendi avrebbero un tetto (non più degli 8 mila dollari che percepisce il Presidente della Repubblica) e si eliminerebbero le pensioni vitalizie.

Nelle intenzioni del presidente, la riforma taglierà le gambe alle influenze esterne (di politici, imprenditori e criminali) nei processi. E alla corruzione. 

I detrattori della nuova normativa però segnalano che la professionalità di un giudice non ha nulla a che fare con la sua popolarità, né la sua rettitudine morale con il fatto di avere meno anni di servizio (l’assegnazione di incarichi gerarchicamente superiori non sarebbe più vincolata alla progressione della carriera) e denunciano le insidie delle campagne elettorali per la scelta dei candidati giudici, magari finanziati da cartelli narcos, con candidati favoriti dall’appartenenza o dalla simpatia per il partito di governo di turno. Una maggioranza giudiziaria filo-governativa eliminerebbe un fondamentale contrappeso tra i poteri repubblicani.

Un progetto populista, denunciano, anche perché non basta obbligare alla celerità dei processi se la mole di lavoro e il finanziamento dei tribunali non la consentono. L’opposizione e i rappresentanti delle associazioni dei magistrati contestano anche la reale intenzione di ascolto delle proposte e di dialogo in fase di formulazione del progetto: nessuna delle proposte sorte nei fori parlamentari aperti e promossi dal governo sarebbe stata presa in considerazione.

Difensora della riforma, la presidente eletta, Claudia Sheinbaum, che ha ricordato su X: “In 43 dei 50 stati degli Usa i giudici sono scelti per voto popolare”.

Hanno risposto indirettamente il Laboratorio di Impatto sullo Stato di Diritto dell’Università di Stanford, il Collegio degli Avvocati del Messico e l’organizzazione Dialogo Interamericano, secondo i quali la riforma proposta costituisce “una minaccia diretta all’indipendenza giudiziaria, viola standard internazionali e mina la democrazia in Messico”. In un rapporto pubblicato a maggio, segnalavano che oggi “pochissimi Paesi scelgono i giudici con il voto popolare”. Di essi, solo Bolivia e Stati Uniti nominano con questa modalità anche i membri dei tribunali costituzionali, ma tale esperienza “conferma – affermano – che le elezioni giudiziarie compromettono l’indipendenza e l’imparzialità” dei giudicanti.

Le preoccupazioni di fughe di investitori dal Paese, di cui si sono fatti voce gli ambasciatori di Stati Uniti e Canada, sono state relativizzate dal presidente. Massicce fughe di capitali erano state vaticinate, ma senza esito, anche prima della cancellazione del mega-progetto del nuovo aeroporto internazionale di Città del Messico e all’inizio della sua presidenza.

Lo sciopero giudiziario ha comunque raccolto il sostegno esplicito della Confederazione nazionale degli imprenditori. Pare tuttavia improbabile che la pressione basti a frenare la riforma, che dovrebbe diventare realtà ad ottobre, nel primo mese di governo di Claudia Sheinbaum. 

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