Rossini è sempre Rossini

L’edizione numero 45 del Rossini Opera Festival a Pesaro, capitale della cultura, ha visto una invasione rossiniana della città in un  programma molto esteso

Dal 7 al 23 agosto. Quest’anno il Festival si  è allungato. Le opere: Bianca e Falliero, L’Equivoco stravagante, Ermione, Il Barbiere di Siviglia, Il Viaggio a Reims. E poi i Concerti al Museo, l’Accademia Rossiniana per i giovani, i Salons Rossini nei borghi storici della provincia, I Concerti del Belcanto, quelli lirico e sinfonici, la mostra su Rossini a Londra nella casa natale,  e così via.

Un tutto Rossini per gli amanti del grande Gioachino ormai da ogni parte del mondo. Un successo annunciato.

È stato,  in notevole parte, il festival dei direttori d’orchestra. Il pesarese Michele Mariotti, ormai di fama internazionale, ha diretto quel capolavoro poco noto che è L’Ermione, opera sperimentale del Gioachino degli anni napoletani, con un cast giovanile e notevolissimo tra cui l’Ermione di Anastasia Bartoli e il sempre maestro di stile Juan Diego Flòrez. Roberto Abbado  ha condotto l’orchestra della Rai in Bianca e Falliero con la splendida Jessica Pratt. Regie equilibrate, coro del Teatro Ventidio Basso in forma.

Abbado e Mariotti sono direttori ormai molto esperti e conosciuti. Non è così, per ora,  per due giovani bacchette, come Michele Spotti e Lorenzo Passerini, trentenni che si vanno affermando.

Michele Spotti è un gentiluomo del  podio. Preciso, elegante, sorridente, sa far cantare  la Filarmonica Rossini ne L’Equivoco stravagante, due atti “giocosi”, all’epoca giudicati dalla censura troppo boccacceschi, assecondati da un libretto zeppo  di chiari doppi sensi (meno fini rispetto a quelli mozartiani) e dalla regia abbastanza esplicita di Moshe Leiser e Patrice Caurier. La musica è frizzante,spiritosa, melodica del fresco e divertito Rossini, l’orchestra si compiace di ritmi e colori vivaci insieme al buon cast, fra cui spicca  Nicola Alaimo nel farsesco personaggio di Gamberotto. Il libretto è un capolavoro di linguaggio metaletterario e metapopolare divertente.

Il Barbiere, firmato dall’allestimento candido e luminoso di Pier Luigi Pizzi, era già noto ed è stato riproposto con un nuovo cast. L’opera – che non è buffa, ma una autentica ”commedia”, cosa fondamentale per comprenderla – è un capolavoro dall’inizio alla fine e va interpretata con quella leggerezza, quel senso del colore e del ritmo, quel pizzico d’ironia sapida ma anche melodiosa che solo Rossini sa avere. La regia talora indugiava in alcuni  cali di stile, inattesi in un lavoro di Pizzi,  la compagnia di canto si presentava variegata: se Carlo Lepore era un Bartolo affidabilissimo, il Basilio di Michele Pertusi è ormai un classico,  mentre il tenore americano di buona voce era un Conte fin troppo fiorito e la Rosina di Maria Kataeva ha gran voce ma va forse controllata come l’esuberante Figaro   di Andrzej Filonczyk. Tutti bravi attori, comunque.

La direzione di Lorenzo Passerini è stata particolare nell’affrontare il Barbiere che, si sa, è opera rischiosa per cantanti e direttori. Basta poco per scendere di livello. Passerini è giovane, dinamico, forse troppo, e l’equilibrio tra le sezioni orchestrali (archi, ottoni…) non sempre perfetto. Ma Rossini è col tempo che lo si scopre meglio. Però la sua bellezza  è tale che  prende tutti, direttori giovani e meno giovani e va accolta con equilibrio e scioltezza, e animo sorridente. Così anche sotto questo aspetto il Festival è stato ancora una volta una occasione imperdibile per un viaggio con lui. Una bella edizione. Arrivederci nel 2025.

 

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