Migranti e frontiere, i numeri da discutere

Ministro Piantedosi: «è stata impedita la partenza di quasi 60mila migranti dalle coste di Libia e Tunisia». Tuttavia rimangono in pessime condizioni i centri di detenzione che l’Onu definisce “lager”, mille morti in mare nel 2024 e non si ferma il caporalato.
Arrivo a Napoli della nave Life Support di Emergency con a bordo 41 migranti, agosto 2024. (Foto ANSA/CESARE ABBATE)

Il giorno di Ferragosto il ministro degli Interni Matteo Piantedosi si è collegato dal Viminale per fare il punto sulla sicurezza ponendo in evidenza che quest’anno, fino a luglio, «è stata impedita la partenza di quasi 60mila migranti dalle coste di Libia e Tunisia». Un’esternalizzazione delle frontiere che non tiene conto delle condizioni dei centri di detenzione che l’Onu definisce “lager”. Nei primi sette mesi del 2024 sono già mille i migranti morti in mare, mentre non si ferma il fenomeno del caporalato nei campi nonostante il caldo torrido, con le sale operative delle Forze di polizia, dei Vigili del fuoco, del Dipartimento della Protezione civile, delle Capitanerie di Porto e della Polizia locale di Roma Capitale.

Ma come si fa a rivendicare come successo il fatto che “è stata impedita la partenza di quasi 60mila migranti dalle coste di Libia e Tunisia”?

Lo ha fatto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, nel “soliloquio” ferragostano, la prima volta senza vera conferenza stampa, senza presenza e senza domande (neanche on line) dei giornalisti, forse perché scomode o anche solo “giornalistiche”. Dunque solo i grandi risultati del governo di destra/centro. Come il rimandare i migranti nei centri libici e tunisini che l’Onu, non qualche Ong, definisce veri e propri lager dove la violenza è pratica quotidiana.

Il ministro non ne parla, così come non parla dei mille morti in mare nei primi sette mesi dell’anno, molti di più in proporzione rispetto a quelli del 2023. Si sbarca di meno ma si muore di più.

Nel 2023 la percentuale dei morti rispetto agli sbarcati era stata dell’1%, quest’anno siamo al 2,67%, più del doppio. Ma i numeri da sbandierare sono solo quelli dei disperati respinti, di chi non ce l’ha fatta a raggiungere le coste della speranza. Chi è stato rimandato al drammatico “punto di partenza”, da cui riproverà a caro prezzo, oppure finirà scheletro irriconoscibile abbandonato in mezzo al deserto. È questo il grande successo della politica estera italiana? Un tempo la destra chiedeva il “blocco navale”, ora lo delega a regimi che certo molto democratici non sono. Pensino loro a bloccare le carrette sgangherate dei disperati. Ma poi, sempre leggendo i dati, ci accorgiamo che migliaia di migranti continuano ad arrivare dalle coste libiche e tunisine. Come mai? È impensabile che partano all’insaputa di Tripoli e Tunisi.

Cosa chiedono quei regimi in cambio di respingimenti ancor più duri? Sarebbe stato interessante chiederlo al ministro. Così come sapere notizie sui centri per migranti in Albania: tempi, costi, funzionamento, regole. Ma le domande, come in altre occasioni per questo governo, non sono gradite. Eppure ci sarebbe molto da chiedere.

Perché nessun esponente del governo era presente alla sepoltura di 21 vittime senza nome del naufragio del 17 giugno nel Mar Ionio? Perché non c’è stata nessuna comunicazione ufficiale sulla realizzazione a Porto Empedocle di un Centro per trattenimento per rimpatri? Perché la Guardia costiera non comunica più le notizie su soccorsi e salvataggi? Sui drammatici viaggi, sui soccorsi, sui salvataggi, sui naufragi, sui morti è calato il silenzio.

Non si deve sapere. Solo i grandi risultati dei cali degli sbarchi (ma poi i migranti passano per altre rotte) e dei Paesi sicuri che respingono o bloccano le barche dei disperati. Sul resto nulla. Le uniche notizie sull’immigrazione sono solo in chiave “muri”, come la rivendicazione dell’aumento del 91% del respingimento delle domande di asilo.

Niente, invece, sull’indegno sfruttamento dei lavoratori immigrati, sul lavoro nero, sul caporalato. Neanche la drammatica morte del bracciante indiano Satman Singh ha reso il tema degno dei riflettori ferragostani.

Neanche il caldo torrido tiene lontani i lavoratori dei campi infuocati. Neanche i dati degli ultimi blitz delle Forze dell’ordine che hanno riscontrato più del 50% delle aziende irregolari, al Nord come al Sud.

Quelle dove lavorano sfruttati i migranti che riescono fuggire, sopravvivere al viaggio e sbarcare. Fondamentali per la nostra agricoltura, a corto di manodopera, ma spesso trattati come quasi come schiavi. Di loro non vale la pena parlare. E concentrarsi, invece, sui “fortunati” 60mila ai quali è stata impedita la partenza da Libia e Tunisia. Invece di finire in mano a caporali e sfruttatori, sono tornati nelle grinfie degli aguzzini.

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