Italianità e fraternità

Uno dei temi divisivi del Paese durante questa estate di Olimpiadi. La profezia di Chiara Lubich
Paola Egonu (AP Photo/Manu Fernandez)

Uno dei temi politici che hanno movimentato le fatue discussioni estive è quello della “italianità”, legato alla grande vittoria dell’ Italia nel volley femminile alle olimpiadi. Una delle migliori atlete, Paola Egonu, già nei mesi scorsi era stata citata nel libro del generale Roberto Vannacci come esempio di tratti somatici che non rappresentano – a suo dire – l’italianità. Il libro, come sappiamo, ha fatto molto discutere in diversi passaggi, la Egonu ha presentato denuncia per diffamazione che è stata archiviata ed ha annunciato che farà ricorso. Il generale Vannacci è stato eletto al Parlamento Europeo nelle liste della Lega con circa mezzo milione di voti, e la vittoria olimpica è stata occasione per molti per sottolineare che la squadra, e anche l’Italia, sono realtà multietniche e, in sostanza, il pensiero di Vannacci sarebbe superato dalla storia.

Questo è proprio uno dei temi divisivi, che parlano alla pancia del Paese e delle persone, e che a seconda di come viene gestito e vissuto può portare distanza e discordia oppure semi di fraternità, anche nei gruppi e nelle comunità religiose, così come in Parlamento e in Europa. Questo articolo vuol essere solo un primo spunto di discussione, senza pretesa di esaurire i tanti argomenti correlati.

Essere patrioti, difendere l’interesse e l’identità dell’Italia è un valore oggi? Se guardiamo nell’ottica del messaggio di Chiara Lubich lo è, ma inserito in uno sguardo di fraternità universale, dove il bene dell’Italia è il proprio originale contributo ad un mondo più unito e fraterno. «Amare la patria altrui come la propria», diceva Chiara, che non significa sminuire la propria patria o diluirla in un magma indistinto, ma neppure vedere la presenza di culture diverse come una minaccia alla nostra identità.

Del resto, va ricordato che fu proprio la Lega nel 2018 ad eleggere il primo senatore di colore nella storia repubblicana, Toni Iwobi, per diverso tempo responsabile immigrazione del partito. Ritengo pertanto inopportuna l’uscita del generale Vannacci a seguito delle olimpiadi, non era necessario sottolineare una differenza nei tratti somatici, dove la modalità e il tempismo con cui viene detta indicano una malizia polemica di cui onestamente non si sentiva il bisogno.

E soprattutto non coglie un certo vento di novità, dove soprattutto i ragazzi ventenni, i nostri figli, si sentono cittadini del mondo molto più di noi, viaggiano, conoscono altre culture, non sono più abituati a un mondo di stati nazione che si guardano in cagnesco, e forse è un bene. Certo, le guerre contribuiscono a riportare tutti a una tragica realtà ancora ben presente e ancora oggi vivere in una democrazia è un privilegio riservato a pochi.

Dall’altra parte sarebbe sbagliato liquidare l’onorevole Vannacci come una specie di mostro, cosa che certa stampa e certa ideologia fa, e ignorare o deridere il grande consenso che ha ricevuto e che lo porta a rappresentare la nostra nazione in Europa. Le tante persone che lo hanno votato non sono stupide, ed evidentemente sono preoccupate di un multiculturalismo un po’ facilone, per il quale la criminalità e il controllo dei confini sono un problema secondario, tanto c’è bisogno di manodopera.

Questa preoccupazione, il desiderio di regole certe, di sicurezza, di coniugare accoglienza e vera integrazione, in altre parole di quello stato di diritto che in molte parti del mondo manca, sono aspirazioni legittime e nel dibattito politico vanno affrontate con rispetto dell’altro e ascolto reciproco.

Mi viene qui da ricordare l’altra frase profetica di Chiara di «amare il partito altrui come il proprio», che di nuovo non vuol dire rinunciare alla propria identità politica e alle proprie battaglie ma «pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama tutti (…) e perciò in ogni circostanza cerca ciò che unisce» [1].

Quindi viva l’Italia e anche l’italianità, consapevoli che questa non è immutabile e statica ma si arricchisce costantemente dell’apporto di nuove culture. Viva la fraternità universale e l’accoglienza, fatta all’interno di uno stato di diritto che l’Europa e gli stati democratici possono offrire come dono nello scambio con altre culture.

[1] discorso di Chiara Lubich al primo congresso del Movimento Politico dell’Unità a Castelgandolfo, 22/6/2000

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

I più letti della settimana

Il Perdono d’Assisi

Guarire con i libri

Voci dal Genfest

Un patto planetario

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons