Muhammad Yunus per il futuro del Bangladesh

Con sorpresa di molti osservatori internazionali, il vuoto di potere causato dalla fuga della leader Sheikh Hasina, è stato rapidamente riempito proprio su proposta dei giovani che protestavano da settimane, che hanno chiesto al presidente della repubblica, Mohammed Shahabuddin, di nominare Muhammad Yunus come leader di transizione. Yunus, 83 anni, Nobel per la Pace 2006, è un economista di statura internazionale, notissimo come pioniere della microfinanza e del microcredito
Muhammad Yunus Wikipedia Common

Non è comune che un Premio Nobel – per di più non politico per formazione ed estrazione – diventi, si potrebbe dire a “furor di popolo”, leader di una nazione. È successo nei giorni scorsi in Bangladesh. L’8 agosto, infatti, Muhammad Yunus, già premio Nobel per la Pace 2006, ha prestato giuramento come consigliere capo del nuovo governo di transizione a Dhaka, dopo settimane di scontri che hanno lasciato più di trecento morti in varie parti del Paese.

Un passo ed un atto che hanno segnato, qualsiasi sarà il seguito di questa vicenda, un auspicato “inizio di una nuova era” per il Paese asiatico, che nonostante l’evoluzione della globalizzazione continua a restare uno dei più poveri al mondo.

Nelle scorse settimane, come avevamo anche accennato in un precedente intervento su cittanuova.it, è successo di tutto. Nata da una protesta studentesca, come ce n’erano state altre in passato, la rivoluzione attuale, cominciata soprattutto grazie ai giovani per via della mancanza di opportunità lavorative, si è sviluppata coinvolgendo tutto il Paese, fino a realizzare l’imprevedibile.

La leader Sheikh Hasina, figlia di Sheikh Mujibur Rahman, padre della patria, e al potere ininterrottamente da una quindicina d’anni, ha rassegnato le dimissioni ed è fuggita in India abbandonando, fra l’altro, al pubblico ludibrio la residenza ufficiale del Governo.

Dopo l’esempio di Usa e Brasile anche il Bangladesh ha visto lo scempio dei Palazzi del Governo. E a questo punto l’empasse politico e sociale sembrava senza via di uscita, con l’unica soluzione di un intervento dell’esercito. Un Paese di 180 milioni di persone in balia di se stesso: una vera bomba a orologeria. Tuttavia, con sorpresa di molti osservatori, il vuoto di potere è stato rapidamente riempito proprio su proposta dei giovani che protestavano da settimane, che hanno chiesto al presidente della repubblica, Mohammed Shahabuddin, di nominare Muhammad Yunus come leader di transizione.

Come si ricorderà, Yunus, 83 anni, è un economista di statura internazionale, assurto alla massima notorietà come pioniere della microfinanza e del micro credito, anche se è bene ricordare che non ne è il fondatore. L’idea e la realizzazione del micro-credito è abbastanza diffusa in tutto il sub-continente indiano anche a prescindere da questa figura che ne ha impersonificato l’idea e la realizzazione.

Yunus è, comunque, il fondatore della Grameen Bank, e da sempre si è opposto in modo critico al governo della Hasina, che pure lo ha accusato in varie occasioni di scandali. Il giorno delle dimissioni e della fuga della “iron lady” del Bangladesh, Yunus aveva subito stigmatizzato quell’atto come un “secondo giorno di liberazione” per il Paese. Da qui è nata la proposta di nominarlo “consigliere principale” del governo di transizione, come garanzia per il ripristino della democrazia nel Paese.

Il suo arrivo a Dhaka e la cerimonia del giuramento hanno suscitato grande entusiasmo fra la gente, in particolare fra i giovani protagonisti delle proteste. Ovviamente, si tratta di un non-politico e di un uomo, in un certo senso, super partes, ritenuto una figura chiave nella giovane storia del Paese, che deve a lui anche la notorietà internazionale in termini positivi. Questo fa sì che da più parti lo si sia ritenuto l’uomo giusto al momento giusto, nonostante la sua età di ultra ottantenne.

È comunque bene osservare che il suo ruolo dovrebbe essere solo quello di traghettare il Paese verso nuove elezioni con una transizione pacifica verso un’amministrazione eletta e democratica. «l regime brutale e autocratico è scomparso – ha detto Yunus alla nazione – domani, con il sorgere del sole, la democrazia, la giustizia, i diritti umani e la piena libertà di espressione senza paura saranno goduti da tutti, indipendentemente dall’affiliazione di partito. Questo è il nostro obiettivo». Nell’esecutivo di transizione Yunus ha già dichiarato di voler inserire due dei giovani leaders delle proteste e 4 donne.

Ovviamente, il grande interrogativo è quello dell’inesperienza politica sia di Yunus come dei membri dell’esecutivo provvisorio che dovranno muoversi fra equilibri molto delicati: il desiderio e i tentativi dell’opposizione di rientrare dopo più di un decennio nei giochi politici, il desiderio della leader esautorata e fuggitiva di ritornare in patria, e possibilmente al potere, ed il ruolo dei militari che potrebbero intervenire per imporre la legge marziale e, di fatto, impadronirsi del governo.

La possibilità è tutt’altro che remota e resta come una spada di Damocle sul destino del Paese asiatico. È già successo alcuni decenni fa con il generale Ershad, che dovette, poi, abbandonare il potere per una sollevazione di massa del popolo. Ne fui testimone perché in quei giorni, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, mi trovavo a Dhaka. E non furono giorni né facili né piacevoli. Riuscii fortunatamente a rientrare in India, dove allora risiedevo, il giorno prima della destituzione di Ershad e della proclamazione del coprifuoco e della legge marziale. Una situazione simile, con generali e ranghi miliari che controllano lo stato, resta sempre possibile.

Tuttavia, l’autorità morale di Yunus è indiscutibile e qualsiasi violenza venisse attuata nei suoi confronti non lascerebbe indifferenti gli osservatori internazionali, anche se attualmente gli sguardi sono tutti rivolti alle situazioni russo-ukraina e mediorientale, ben più sanguinose e pericolose per il destino dell’umanità. Non c’è che restare ad osservare come si evolverà il tentativo di democratizzazione del Bangladesh, che potrebbe rappresentare una transizione pacifica e imitabile anche da parte di altri.

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