7 dicembre 1943
Contemporaneamente all’insegnamento, cresceva l’impegno di Silvia nel Terz’ordine francescano, in cui era ben presto diventata maestra delle novizie. Per seguirle con continuità, aveva perseverato nel suo metodo di scriver loro delle lettere circolari, come già faceva con le giovani di Azione cattolica di Castello. In una di esse, già si intravedono alcune idee fondamentali del futuro focolare: «Conosciamoci come ci conosce Iddio, non per condannarci e disperare, ma per aver misericordia gli uni degli altri, e aiutarci. Amiamoci! Ci troveremo un giorno tutte lassù unite per tutta l’eternità se quaggiù avremo avuto il coraggio di amarci senza scuse. Unite per uno stesso ideale: la fratellanza universale in un sol Padre, Dio che sta nei cieli. Operiamo: siano la verità e le opere il nostro amore! “Figliolini miei, non amiamo colla lingua o colle parole, ma con opere e con la verità” » . In quegli anni, come si può costatare, Silvia appariva già assetata di radicalismo evangelico. Prova ne sia quella volta in cui un sacerdote, all’Opera serafica, le chiese ad esempio un’ora della sua giornata per lui, per la sua azione pastorale. «Non un’ora, ma tutta la vita», fu la sua risposta. «Si ricordi che Dio la ama immensamente», concluse il prete. E fu lì che emerse il primo punto di quella che sarebbe stata la spiritualità dell’unità: Dio amore.
In quei quattro anni, dalla visita a Loreto del 1939 fino al 1943, Silvia continuò così a studiare, a lavorare, a impegnarsi al servizio della Chiesa. All’atto di farsi terziaria, assunse il nome di Chiara, «la copia più bella del Poverello», come scrisse Giordani. Di lei la giovane di Trento ricordava e ricorderà spesso la risposta fulminante data dalla santa a Francesco che, alla Porziuncola, le chiedeva cosa desiderasse: «Dio!».
Ma, per tornare al 1943, Chiara, ormai ventitreenne, mentre si recava a prendere il latte a un paio di chilometri da casa, in località Madonna bianca, al posto delle sorelline che avevano declinato l’invito della mamma, come già ricordato, avvertì, proprio sotto il ponte della ferrovia vicino alla sua abitazione, che Dio la chiamava: «Datti tutta a me». Chiara non perse tempo, come era nelle sue abitudini, e con una lettera chiese il permesso di compiere un atto di totale donazione a Dio, di consacrarsi a lui per sempre, a un cappuccino sacerdote, padre Casimiro Bonetti, che si consultò a sua volta con un confratello anziano e particolarmente spirituale. L’ottenne, dopo un interrogatorio… Così il 7 dicembre 1943, alle sei del mattino, avvenne la sua consacrazione.
Quel giorno, Chiara non aveva in cuore nessunissima intenzione di fondare un movimento, o un’associazione, o un gruppo di preghiera. Lei semplicemente «sposava Dio», e questo era tutto per lei. Scriverà Giordani: «Ella, che pure aveva una fantasia creatrice di artista – sapeva infatti anche dipingere –, non pensava di crear niente. Come prima e dopo d’allora, ella stava ad ascoltare la voce del Padre, nelle ispirazioni interiori (“ascolta quella voce”, soleva dire alle compagne), nei testi sacri, negli ordini della gerarchia e del clero, negli eventi e nelle suggestioni delle circostanze. Era figlia del suo tempo e viveva le angosce dei contemporanei: la guerra folle, le trepidazioni della resistenza, l’opera della Chiesa» .
Solo più tardi si attribuì a quella data l’inizio simbolico del Movimento dei Focolari, anche se, va detto, Chiara stessa in altre circostanze ha creduto di fissare l’intuizione prima di quello che sarebbe poi nato già nel 1939, durante il citato viaggio a Loreto. In ogni caso, come scrisse Chiara più tardi, in quel 7 dicembre 1943 «la gioia interiore era inspiegabile, segreta, ma contagiosa» .