Siena, buon governo e bene comune

L'affresco allegorico del Lorenzetti nel Palazzo pubblico di Piazza del Campo a Siena rappresenta un dilemma sempre vivo in politica come dimostra il dibattito odierno su Premierato e Autonomia differenziata. Leggi qui la prima parte dell'articolo.

Piazza del Campo a Siena è teatro di uno degli eventi più iconici del mondo: il Palio, una competizione equestre che coinvolge le contrade cittadine in due appuntamenti estivi.

La storia di Siena è inseparabile dalle gesta di fantini leggendari – come Andrea Degortes detto Aceto, il più vincente – ma è anche uno dei luoghi in cui si è scritto e mirabilmente rappresentato un brano fondamentale nella storia della democrazia.

Il Palazzo Pubblico, che si affaccia con la sua torre su piazza del Campo, contiene lo straordinario ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti, Allegoria ed effetti del Buono e Cattivo Governo: pace e prosperità da un lato, guerra e saccheggio dall’altro.

Significativa la presenza centrale della Tirannide nell’Allegoria del Cattivo Governo, che soggioga ai sui piedi la Giustizia che invece troneggia nell’Allegoria del Buon Governo, garante di concordia fra i cittadini.

L’opera di Lorenzetti segna icasticamente la riemersione del fiume carsico della democrazia molti secoli dopo i promettenti inizi ad Atene e Roma. Non a caso fu commissionata da quel Governo dei Nove che dal  1287 al 1355 – fra il crepuscolo del Medioevo e gli albori del Rinascimento – ha interrotto il modello del potere monocratico fornendo una gestione collegiale alla repubblica senese.

I Nove operavano secondo il principio del “bene comune”. Pur essendo di fatto un’oligarchia dei ceti emergenti – mercanti, banchieri artigiani – che esprimevano politicamente l’esigenza di una libertà soprattutto economica, cercavano di difendere il popolo minuto e di arginare gli appetiti della classe nobiliare che era esclusa dal governo.

È interessante notare come per il Governo dei Nove il bene comune richiedesse di risolvere in origine potenziali conflitti di interesse. Proprio per questo erano escluse dal governo categorie come i medici, gli avvocati e i notai che invece erano utilizzati nella macchina amministrativa per le loro competenze.

La stessa Caterina da Siena, vissuta in quel periodo, ha particolarmente a cuore il tema del bene comune tanto da scrivere una lettera di incoraggiamento ad uno dei propri discepoli, il pittore Andrea Vanni, allora membro del Governo dei Nove. Fra l’altro si legge: “(…) io desideravo di vedervi giusto e vero governatore: la quale giustizia se prima non si comincia da sé, come detto è, già mai nel prossimo non la poterebbe osservare in veruno stato che fusse”. L’influsso del pensiero di Caterina arriva fino al nostro tempo, tanto che Igino Giordani, uno dei padri costituenti si definiva “caterinato”.

Come ci ricorda Yves Mény, sulle cui tracce stiamo camminando, “comune” è la forma di governo che emerge nell’Europa Occidentale dalla fine dell’XI secolo: i cittadini che formano le communitas esprimono la volontà di agire “in comune”, non solo con lo strumento giuridico degli statuti – il primo scritto è quello di Pistoia del 1117 -, ma prima ancora con un solenne giuramento di unione.

È la società civile, che in modo volontario, esprime le proprie istituzioni politiche. Confraternite e corporazioni sperimentano pratiche che entreranno nei meccanismi democratici: internamente con assemblee degli associati ed esternamente a fare da contrappeso agli abusi di potere di singoli cittadini.

A Siena si possono osservare quei capisaldi fondamentali della democrazia emersi fra l’anno Mille ed il Rinascimento: innanzi tutto il concetto di “buon governo” basato sul “bene comune” espressione del potere del popolo, cui viene riconosciuto il principio di rappresentanza. A premessa di questo impianto, il riconoscimento di alcune libertà fondamentali, di espressione e di associazione declinate in senso locale.

Naturalmente questa esigenza di autogoverno dei cittadini aveva come contrappeso un’assunzione di responsabilità nel finanziamento alle opere cittadine e nella attiva partecipazione anche nelle milizie locali di difesa.

Potrà sorprendere chi non conosce a fondo il suo pensiero, ma lo stesso Machiavelli, riconosce che non vi è libertà se il governo è soggetto all’arbitrio di uno solo. In questo senso riconoscendo il grande valore dell’esperienza comunale.

Tutta la ricchezza di pensiero e pratiche democratiche dell’Umanesimo Toscano ci restituiscono dilemmi con i quali ancora oggi ci confrontiamo: assemblee popolari o consigli ristretti? Elezione o sorteggio? Elezione diretta o indiretta?

In tempi di discussione su premierato ed autonomia differenziata, sull’esigenza di rigenerare la partecipazione emersa alla Settimana sociale di Trieste, uno sguardo agli affreschi di Ambrogio Lorenzetti può darci qualche elemento di riflessione per affrontare le sfide del cantiere democratico contemporaneo.

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