La pace arriverà da Pechino?

Il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha invitato a Pechino i rappresentanti di 14 formazioni politiche palestinesi, compresi Hamas e Fatah. È nata la “Dichiarazione di Pechino” in cui avrebbero riconosciuto l’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) per rappresentare il popolo palestinese. Delineato un progetto unitario di governance postbellica.
Foto ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Pace sembra un concetto estraneo al premier israeliano Netanyahu. O forse il suo concetto di pace è quello della pax romana: «Dove fanno il deserto, lo chiamano pace». Nel suo discorso del 24 luglio al Congresso statunitense i toni usati da Netanyahu sono quelli (banali e un po’ istrionici) di un signore della storia: parla di scontro epocale tra barbarie e civiltà, tra chi “semina la morte” (cioè Hamas) e chi “difende la vita” (lui).

Provo orrore per l’attacco del 7 ottobre 2023, e l’odio con cui è stato realizzato, dal commando di Hamas che ha massacrato quasi 1.200 innocenti e rapito 250 ostaggi, ma non capisco a quale titolo “lui” sarebbe un difensore della vita dopo 40 mila morti, 70% dei quali donne e bambini. E senza considerare l’ipotesi presentata da Lancet (una delle principali riviste mediche internazionali) che calcola le vittime attribuibili al conflitto di Gaza, alle bombe, alla fame e alle conseguenze sanitarie, in circa 186 mila persone. Finora. Senza aggiungere lo spaventoso rischio rilevato in questi giorni a Khan Younis di un’epidemia di poliomielite.

«America e Israele devono stare insieme – ha detto Netanyahu a Washington –. Quando stiamo insieme succede qualcosa di veramente semplice: noi vinciamo, loro perdono». Io, che sono un po’ complicato, non ho capito cosa intende quando dice che la guerra di Israele contro Hamas andrà avanti fino alla “vittoria totale”. Concetto che non manca di applicare anche a Hezbollah, agli Houthi dello Yemen e a quanto pare anche ai palestinesi della Cisgiordania, colpevoli di opporsi ai coloni ebrei. Non lo so, ma questa vittoria totale potrebbe da qualcuno essere confusa con una “soluzione finale” di storica memoria.

Confusioni in cui finiscono gli “idioti utili all’Iran”, come Netanyahu ha definito chi protesta per le stragi di civili palestinesi. E si protesta in tutto il mondo, perfino in Cina. Viviamo ormai in un mondo con qualche miliardo di “antisemiti”, secondo Netanyahu: speriamo che non intenda applicare anche nei loro confronti la sua “vittoria totale”, altrimenti c’è da temere che questo si trasformi nell’ultimo conflitto del genere umano.

Negli stessi giorni, a Pechino, si è svolta una riunione che non è piaciuta al premier israeliano. Il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha infatti ospitato dal 21 al 23 luglio a Pechino i rappresentanti di 14 formazioni politiche palestinesi, compresi i due grandi rivali, Hamas e Fatah. Gli altri principali gruppi sono la Jiahad islamica (filoiraniana), il gruppo islamista Prc, il Fronte popolare un tempo filosocialista, gli scissionisti dalle Brigate al-Aqsa (Amb-Na) e alcuni gruppi salafiti-jihadisti. Ne è uscita una carta che i media cinesi si sono affrettati a definire “Dichiarazione di Pechino”.

Il risultato più rilevante sarebbe che tutti i 14 gruppi avrebbero riconosciuto l’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) come unico rappresentante legittimo di tutto il popolo palestinese. Ed è stato anche auspicato e delineato un progetto di governance postbellica, con l’istituzione di un governo provvisorio di riconciliazione nazionale in vista di una road-map che porti a rappresentanti democraticamente eletti e ad un unico governo palestinese che governi Cisgiordania, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza. Insomma, una nuova versione se possibile ampliata e rinnovata di uno Stato Palestinese.

Già, e con tutto ciò i cinesi che c’entrano? Appunto: fonti governative israeliane condannano senza mezzi termini l’accordo dei palestinesi, ma non una parola a proposito del ruolo di mediazione svolto dalla Cina. Che da parte sua ha finora mantenuto buoni rapporti con lo Stato Ebraico, pur essendo favorevole alla soluzione a due stati ed avendo da tempo riconosciuto lo Stato di Palestina.

In ogni caso l’iniziativa cinese rappresenta un successo diplomatico notevole, per aver mediato un accordo fra Hamas e Fatah (nemici giurati). È vero che non è il primo accordo di riconciliazione mediato dalla Cina, e che i precedenti non hanno avuto seguito. Che la Cina si voglia ritagliare uno spazio in Medio Oriente è risaputo. E che abbia già mediato una sorta di riconciliazione fra Iran e Arabia saudita è un fatto. I cinesi rivendicano un proprio ruolo di mediatore globale fondandolo sul diverso approccio ai conflitti: a parte le dispute di confine, la Cina non ha più fatto ricorso alla guerra dai tempi del Vietnam, neanche per procura. La pace arriverà da Pechino?

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Guarire con i libri

Voci dal Genfest

Abbiamo a cuore la democrazia

Quell’articolo che ci ha cambiato la vita

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons