Olimpiadi, si parte: c’è anche la squadra dei rifugiati

Il gruppo di 36 atleti rappresenterà i 100 milioni di sfollati nel mondo
Iman Mahadavi (a dx), di origini iraniane, uno dei due membri della squadra olimpica dei rifugiati residenti in Italia, al suo arrivo a Parigi. Foto ANSA/Società Lotta Club Seggiano

Anche i rifugiati avranno la loro squadra all’Olimpiade di Parigi 2024, che si inaugura oggi 26 giugno. Si tratta di 36 atleti provenienti da 11 diversi Paesi, ospitati da 15 Comitati Olimpici Nazionali, che gareggiano in 12 sport. È la terza volta per una Squadra Olimpica dei Rifugiati del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ai Giochi Olimpici, in rappresentanza degli oltre 100 milioni di sfollati che si calcolano siano presenti nel mondo.

La composizione della squadra è stata approvata dal Consiglio Esecutivo del CIO ed è basata su una serie di criteri, tra cui le prestazioni sportive di ciascun atleta e il suo status di rifugiato verificato dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), un equilibrio di discipline sportive e di genere, nonché della diffusione dei Paesi di origine.

Secondo Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, «la Squadra Olimpica dei Rifugiati dovrebbe ricordarci la resilienza, il coraggio e le speranze di tutti coloro che sono stati sradicati da guerre e persecuzioni; questi atleti rappresentano ciò che gli esseri umani possono fare, anche di fronte ad avversità estreme». Inoltre, «la squadra ci ricorda anche che lo sport può essere trasformativo per le persone la cui vita è stata sconvolta da circostanze spesso strazianti; trasformativo non solo per gli olimpionici, ma per tutti». Infatti, «lo sport può offrire tregua, una fuga dalle preoccupazioni quotidiane, un senso di sicurezza, un momento di divertimento, può dare alle persone la possibilità di guarire fisicamente e mentalmente e di tornare a far parte di una comunità».

Per la prima volta dalla creazione della Squadra Olimpica dei Rifugiati sono presenti due atleti rifugiati residenti in Italia: Iman Mahdavi, nella disciplina della lotta libera 78 kg, e Hadi Tiranvalipour, nella disciplina del taekwondo categoria -58k g, entrati a far parte del Programma Olimpico per i Rifugiati nel 2022 e 2023.

Secondo Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino, «la selezione di Iman Mahdavi e Hadi Tiranvalipour per le Olimpidi di Parigi 2024 è senza dubbio un traguardo importantissimo non solo per i due atleti selezionati ma per ciò che esso rappresenta per la causa dei rifugiati e per l’Italia che li ha accolti; le persone in fuga sognano di poter ricostruire il proprio futuro in sicurezza e dignità, [ma] troppo spesso la narrazione che li riguarda mette in luce solo i bisogni primari tralasciando il talento, il coraggio e la determinazione che portano con se». Invece, «lo sport rappresenta uno dei palcoscenici più importanti per ribadire i valori della solidarietà e dell’inclusione e per questo siamo grati al CONI per l’impegno dimostrato nel sostenere gli atleti rifugiati nel loro sogno olimpico».

Per la prima volta la Squadra Olimpica dei Rifugiati gareggerà con il proprio emblema di squadra, un simbolo che unisce atleti diversi e conferisce alla squadra una propria identità. Al centro dell’emblema c’è un cuore, che deriva dal logo della Fondazione Olympic Refuge, a rappresentare l’appartenenza che la squadra spera di ispirare e che gli atleti e gli sfollati di tutto il mondo hanno trovato attraverso lo sport, contornato da un cerchio di frecce a pennarello, a rappresentare i membri della squadra che provengono da diversi angoli del mondo, ciascuno con una propria storia e con una esperienza vissuta nei loro viaggi.

Masomah Ali Zada, rappresentante della squadra olimpica dei rifugiati, nel suo discorso prima dell’inizio delle Olimpiadi di Parigi al Sumit per lo sport per lo sviluppo sostenibile. Foto via Ansa/ EPA/ANDRE PAIN / POOL

La Chef de Mission della Squadra Olimpica dei Rifugiati Masomah Ali Zada, che ha gareggiato per la Squadra Olimpica dei Rifugiati a Tokyo 2020, osserva che «questo emblema ci unisce tutti, siamo tutti uniti dalla nostra esperienza – anche se tutti diversi, abbiamo fatto un viaggio per arrivare dove siamo». Infatti, «gli atleti non rappresentano un Paese specifico, ma la Squadra Olimpica dei Rifugiati: avere il nostro emblema crea un senso di appartenenza e ci permette di rappresentare la popolazione di oltre 100 milioni di persone che condividono la stessa esperienza».

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