Il ’68 tra proteste studentesche e Movimento Gen
Cinquant’anni fa, mentre la contestazione studentesca e i moti del ’68 scuotevano dalle fondamenta il Paese a più livelli, Chiara Lubich e i primi amici del Movimento dei Focolari fondavano la cittadella di Loppiano, nel cuore della Toscana, divenuta simbolo di comunione. Se Mario Capanna occupava l’Università Cattolica rappresentando gli studenti movimentisti, lei iniziava a spianare strade che avrebbero allargato orizzonti e frontiere dell’evangelizzazione, della carità fraterna, del pensiero teologico-filosofico, dell’economia, dell’impegno sociale e, a partire dal 2008, della ricerca accademica, con la nascita dell’Istituto Universitario Sophia nonché, contemporaneamente, degli inizi dei laboratori di Loppiano Lab, la cui ultima edizione, svoltasi lo scorso fine-settimana, ha di nuovo intrecciato queste strade.
Proprio a Sophia, sede del laboratorio ideato per confrontarsi “Oltre la rivoluzione e la contestazione del ’68”, Capanna ha abbracciato commosso Benedetto Gui, coordinatore del dipartimento di Economia e Management dell’istituto fondato da Chiara Lubich, figlio di Luigi Gui, ministro contro cui si rivolgevano i moti le piazze.
«In quegli anni le masse toccarono con mano che cambiare il mondo è possibile… e in fondo è quello che vogliamo tutti, perché se non lo vogliamo non viviamo. Vegetiamo», ha esclamato Capanna accanto a Rosi Bindi, che ha affermato pubblicamente come «Lazzati confidò che alcuni cattolici lo fecero soffrire più di lui (Capanna, ndr)», riferendosi a divisioni interne, antistoriche eppur mai sopite. «Con il ’68 – ha ricordato l’ex ministro – si affermò l’assoluto della politica che condusse alla rivoluzione dei diritti individuali: dopo vennero l’aborto e il divorzio e stiamo ancora discutendo dove finisca il mio diritto e inizi quello dell’altro, e che limite vi sia tra diritto e desiderio. Quella fu la prima grande rottura tra individuo e comunità».
Per l’ex leader studentesco, «un filo che collega il passato al futuro attraverso uno sconvolgimento di paradigmi», espressione su cui tutti concordano, per quanto diversi fossero quei paradigmi che su linee parallele si muovevano, dai megafoni ai sorrisi fraterni, dai concetti della lotta di classe e della dittatura del proletariato al dialogo ecumenico e al Magnificat.
«Abbiamo perso l’amore per la politica, quello che insegnava don Lorenzo Milani: l’invidia sociale prevale sulla rivendicazione. Come credenti dovremmo farci carico di cambiare il paradigma» afferma la Bindi, mentre Capanna sottolinea: «I poteri che hanno represso il 1968 hanno portato il mondo alla terza guerra mondiale a pezzi, come dice papa Francesco, e si lagnano perché il precariato planetario genera migrazioni. Solo se le idee torneranno a camminare sulle gambe di milioni di uomini e di donne, non dei governi, cambieremo il mondo».
D’altra parte, lo storico Marco Luppi, tra i docenti di Sophia, ha ricordato come – mentre si preparava la rivolta studentesca -, nel 1967 all’interno dei Focolari, dalla proposta della Lubich di una rivoluzione nel nome del Vangelo nasceva il Movimento Gen. Da quella visione del mondo veniva rafforzata anche la spinta al rinnovamento della Chiesa, alla luce del Concilio.
Concilio Vaticano II che si era tenuto solo tre anni prima, come ricostruito dal teologo Brunetto Salvarani, secondo il quale “il 1968 cattolico non fu tanto figlio del Concilio, ma del suo ritardo, che scatenò una domanda di rinnovamento. Che c’è ancora oggi. Le acquasantiere ribollivano – ha ricordato – non solo all’Isolotto di Firenze, tra i terzomondisti o nelle comunità di base. La Cei per la prima volta ammetteva i laici allo studio della teologia e un retaggio di quegli anni non è soltanto l’autonomia dei laici dal clero, quanto la ritrovata centralità della Bibbia nel cattolicesimo».
Altro momento molto intenso vissuto all’Istituto universitario Sophia, ha riguardato l’approfondimento del nesso posto tra le caratteristiche dell’effetto delle guerre e i conseguenti smottamenti degli equilibri degli ecosistemi e, pertanto, di intere popolazioni, indotte a dinamiche migratorie e conflittuali. Tra le evidenze, la sperequazione di un mondo industrializzato che, seppure netta minoranza benestante nel complesso, assoggetta risorse e prospettive della maggior parte del resto del pianeta, producendo gas sera a dismisura e provocando quella tragica e attualissima equazione di effetto serra-effetto guerra che, se non affrontata alla radice, renderà inevitabili i tumultuosi sradicamenti di intere popolazioni, costrette ad abbandonare case e ambienti per cercare migliore sorte presso quei Paesi che risultano paradossalmente gli stessi responsabili indiretti dei loro tormenti.