Disoccupazione giovanile in Bangladesh, rivolte e vittime
Ovviamente in Occidente se ne parla poco. Raramente il Bangladesh ha fatto notizia da noi, se non per la guerra di indipendenza dal Pakistan nel 1971 – ormai materia per i testi di storia – e, più recentemente, i roghi che hanno distrutto – con molte vittime – centri dove si producono in outsourcing capi di vestiario che finiscono poi sui mercati occidentali. Eppure, assordati come siamo dalle beghe di casa nostra e dal dibattito elettorale negli Usa, non ci rendiamo conto che da vario tempo la situazione nel Paese del sub-continente indiano sta precipitando. La questione al centro delle dimostrazioni che sono, poi, sfociate in scontri con la polizia e l’esercito causando più di cento vittime, è la disoccupazione giovanile.
I giovani, che rappresentano il 20% della popolazione totale (170 milioni di abitanti), non hanno prospettive di lavoro. Il problema è ulteriormente aggravato da una questione di riserva di posti lavoro nei quadri dell’amministrazione a favore dei familiari di coloro che avevano combattuto nel 1971 contro il Pakistan. L’accusa è che la formula che era stata disegnata negli anni successivi all’indipendenza per venire incontro a coloro che avevano combattuto per essa, oggi – dopo più di mezzo secolo – non ha più senso e si accusa la premier Sheikh Hasina di farne uso per questioni clientelari e mantenere il potere, che fra l’altro detiene ininterrottamente dal 2009.
Da tempo, nel Paese cova un malcontento generalizzato per come l’Awami Leage, partito della premier, sta gestendo il potere con una politica di repressione dei confronti di coloro che dissentono. La protesta, dunque, da esplosione di malcontento per la questione della disoccupazione giovanile è ora diventata uno scontro con il governo che non ha tardato a rispondere con la forza, scatenando violenza generalizzata soprattutto nella capitale Dhaka. In questi ultimi giorni, i disordini hanno causato un centinaio di morti e il governo ha imposto il coprifuoco dalla mezzanotte fino alle 10, schierando l’esercito. Tuttavia, le dimostrazioni non sono scemate. La gente è scesa ugualmente in strada sfidando i divieti e rischiando la vita. Nell’attuale caos generale è difficile capire se si sono aggiunte nuove vittime, ma quello che è certo che dopo giorni di tentativi di sedare le rivolte con gas lacrimogeni e granate stordenti, polizia e esercito fanno ora uso di proiettili veri.
La clausola del 30% dei posti lavoro pubblici riservati a familiari dell’indipendenza del 1971 era, di fatto, stata abrogata nel 2018, ma un tribunale locale l’ha recentemente reintrodotta scatenando la protesta nazionale giovanile. Il governo ha presentato appello e dovrebbe svolgersi una udienza in merito all’inizio di agosto. Intanto, però, la situazione è sfuggita al controllo sia di Hasina che del suo governo e degli organi di sicurezza. La premier è figlia proprio del padre fondatore del Bangladesh indipendente, Sheikh Mujibur Rahman, che ne fu anche il primo presidente.
A partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso ha governato in totale per vent’anni, di cui gli ultimi quattordici consecutivamente. La sua avversaria, durante tutta questa fase, è stata e continua ad essere Khaleda Zia, vedova dell’ex Primo Ministro Ziaur Rahman. Khaleda e Hasina, un tempo alleate contro la dittatura del generale Ershad negli anni Ottanta, si sono, poi, divise dando origine ad una rivalità che ha monopolizzato la politica del Paese asiatico. Dal 2009, Hasina è saldamente al potere e, recentemente, ha ottenuto il quarto mandato consecutivo con le elezioni tenutesi all’inizio dell’anno.
Con la decisione delle autorità di imporre un blackout di Internet a livello nazionale, il Paese rischia di rimanere isolato, visto che anche le linee telefoniche sembrano avere non pochi problemi. Le molte Ong che operano nel Paese per scopi umanitari non riescono ad accedere ai loro siti web e ad aggiornarli.
La situazione potrebbe avere anche delle conseguenze per il subcontinente indiano. Infatti, i confini fra il Bengala orientale (che è l’attuale Bangladesh) e quello occidentale con capitale Kolkata, che fa parte dell’India, è molto poroso. Da sempre esistono flussi di migranti verso l’India favoriti anche dal fatto che si parla il bengalese in entrambe le regioni e le caratteristiche etniche sono assolutamente uguali.
La presenza di migranti del Bangladesh in India è stata abilmente usata da politici indiani per gonfiare i voti a loro favore, garantendo le necessarie carte annonarie anche a chi arriva dal Paese limitrofo. Le cose, teoricamente, sono cambiate con le decisioni del governo Modi che dal 2018 ha deciso di facilitare l’accoglienza di migranti e rifugiati dai Paesi vicini, con l’esclusione di quelli di religione musulmana. E il Bangladesh ha una popolazione per l’89% proprio musulmana. Anche questa situazione, dunque, richiede di essere monitorata e potrebbe creare attriti con il ben più potente vicino di casa.
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it