Sisma de L’Aquila, ancora una sentenza che fa male
È destinata a far discutere la sentenza arrivata lunedì 15 luglio dalla Corte d’Appello de L’Aquila per la morte di sette studenti universitari scomparsi la tragica notte tra il 5 e il 6 aprile nel terremoto del 2009 nello stabile di Via Giovanni D’Annunzio 14 del capoluogo abruzzese.
I giudici, infatti, hanno reputato che fu “condotta incauta” quella assunta da Nicola e da Enza Terzini, Ivana Lannutti, Daniela Bortoletti, Sara Persichitti, Michele Strazzella e Nicola Colonna, i sette giovani che abitavano nel palazzo crollato nel giro di pochi secondi, portando via la vita anche ad altre 5 persone, per un totale di 13 vittime. Dunque nessun risarcimento è stato accolto e spese del procedimento a carico dei familiari per 14mila euro.
Ma questo è solo l’ultimo in ordine cronologico dei tanti processi ancora in corso sul terremoto delle 3.32 del 6 aprile di 15 anni fa e che fa discutere per l’esito, generando sconcerto tra i parenti delle vittime e nell’opinione pubblica.
In questo caso la Corte d’Appello di Perugia, aveva già assolto in via definitiva l’ingegnere che nel 2002 aveva effettuato dei restauri al palazzo chiudendo in tal modo il procedimento penale.
Nel processo civile del 2022, invece, quasi interamente incentrato su una delle sette vittime, lo studente di biotecnologie di Monte San Giovanni Campano (Frosinone) Nicola Bianchi di 22 anni, il giudice Monica Croci aveva riconosciuto già in primo grado la colpevolezza del ragazzo al 100% con la motivazione che egli era a conoscenza di vivere in un edificio poco sicuro e che sarebbe comunque rimasto in casa per poter sostenere un esame nei giorni successivi.
Si legge nella sentenza «che qualunque rassicurazione fosse stata percepita doveva necessariamente venire meno ove l’abitazione in concreto occupata avesse presentato segni di danno per le precedenti scosse e/o fosse stata giudicata meritevole di controlli di stabilità». Sì, le rassicurazioni provenienti dai vertici della Commissione Grandi Rischi, perché questo è stato il grande nodo da dipanare nel dibattimento: quale impatto ebbero sulle decisioni di Nicola e degli altri studenti e su cui torneremo. A tal proposito già il primo grado di giudizio aveva assolto la Commissione Grandi Rischi.
Intanto, in un precedente provvedimento, il Tribunale de L’Aquila aveva prima condannato a sei anni i sette scienziati che avevano preso parte alla riunione della Grandi Rischi riunitasi nel capoluogo abruzzese il 31 marzo del 2009, cinque giorni prima del sisma, per le informazioni e i messaggi rassicuranti con cui venne tranquillizzati gli aquilani, ma poi li aveva assolti in appello.
Unica eccezione, in quel procedimento, per il vicecapo della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, che aveva sostituto Bertolaso in quei giorni e la cui condanna a due anni è stata confermata anche in Cassazione. Fu lui, infatti, ad aver inviato messaggi alla cittadinanza con «affermazioni rassicuranti a ritenere che si trattasse di un favorevole fenomeno di scarico di energia» si legge nella sentenza che li avrebbe indotti a non osservare la giusta cautela così da restare «nelle abitazioni che crollarono per effetto del sisma».
Era stato contro il primo grado di giudizio nel processo civile che aveva assolto la Commissione Grande Rischi, che la famiglia Bianchi aveva proposto il ricorso in Corte d’Appello assieme alle famiglie delle altre sei vittime. Ma anche in secondo grado, i giudici con sentenza del 15 luglio, hanno stabilito che per i sette ragazzi non si trattò di morte causata perché rassicurati o condizionati dalle risultanze dei componenti della Commissione Grandi Rischi riunitisi il 31 marzo o dalle dichiarazioni in tv di De Bernardinis.
La motivazione si basa soprattutto sulla vicenda di Nicola, uscito quella notte di casa, rimasto in strada per qualche tempo e poi tornato negli alloggi. Secondo i giudici lo studente sarebbe andato così “in contrasto” col fatto che si era sentito rassicurato dalle parole del vicecapo della Grandi Rischi De Bernadinis. Mancherebbe cioé quel “nesso causale” per attribuire responsabilità civile ovvero prove certe dell’impatto delle rassicurazioni sulla condotta dei giovani.
Inoltre, scrivono i giudici «in linea generale, il compendio probatorio acquisito (convocazione della riunione, verbali della stessa, deposizioni testimoniali) – al di là del convincimento del Capo del DPC emerso nel corso della conversazione causalmente intercettata tra lo stesso (Bertolaso) e l’assessore regionale (Stati) – ha smentito o, comunque, non ha dato conferma della tesi che gli esperti partecipanti alla riunione del 31 marzo – ad esclusione del De Bernardinis, vice di Bertolaso, il quale, peraltro, alla stessa non diede alcun contributo scientifico – avessero, a priori, l’obiettivo di tranquillizzare la popolazione e, quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati oggetto della loro valutazione scientifica».
Ma come dicevamo, l’esito della sentenza che riguarda Nicola e gli altri sei studenti, ad oggi, non si presenta come un unicum nei processi civili sulle morti del terremoto de L’Aquila. Analogamente a questo caso, fece già discutere il verdetto nell’ottobre del 2022 che stabilì la corresponsabilità al 30% per alcune delle 24 vittime del palazzo di Via Campo di Fossa. Anche qui una “condotta incauta” tenuta dai residenti, per non essere usciti di casa dopo due scosse di terremoto che seguivano uno sciame sismico che durava da mesi. In quell’occasione l’allora Presidente della Provincia al 6 aprile 2009, on. Stefania Pezzopane, affermò: «Lo Stato assolve lo Stato».
Anche stavolta dolore che si aggiunge ad altro dolore dopo 15 anni. Nel caso dei sette studenti: «E’ una sentenza sconcertante che attribuisce la responsabilità a dei giovani i quali invece facevano particolare affidamento sulla Protezione civile» ha commentato all’Adnkronos l’avvocato di parte civile Alessandro Gamberini del Foro di Bologna. Parla invece di «sentenza disumana» Sergio Bianchi, padre di Nicola a poche ore dal verdetto e che da anni si batte per avere giustizia, aggiungendo: «Come possono dare la colpa a sette ragazzi che sono morti tra le macerie?». «Ma io non mollo – ha anche concluso il papà di Nicola Bianchi – e farò ricorso in Cassazione».
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