Calcio: le ragioni della disfatta degli azzurri ad Euro 2024
La nazionale di Luciano Spalletti, dopo essere arrivata quasi per caso agli ottavi di finale, cede il passo alla Svizzera che annienta gli azzurri 2-0 e la nazionale, campione d’Europa in carica, è fuori da Euro 2024.
Un Europeo mai partito
L’Italia, campione d’Europa in carica ad Euro 2020, finisce la sua avventura tedesca agli ottavi di finale: è la Svizzera a porre fine all’Europeo azzurro. Ma, più che essere già finito, in realtà, questo Europeo sembra non essere mai partito per la nazionale del ct Luciano Spalletti alla quale, forse, solo la sconfitta contro la Spagna potrebbe essere perdonata.
Certo, forse il girone degli italiani non era dei più semplici, forse il ct e la squadra avevano bisogno di più tempo per lavorare meglio, forse i nostri azzurri sono reduci dal ritiro di grandi personalità e leader con molta esperienza. O forse no: forse la figuraccia internazionale della nostra nazionale è solo la punta di un iceberg di un sistema calcistico completamente da rivedere, a partire dalle scuole calcio.
Ma andiamo in ordine, un Europeo difatti mai partito, mai iniziato da parte della nazionale azzurra, a partire dalla “partita più semplice” fino ad arrivare al KO definitivo con la Svizzera. Si inizia con il gol da record dell’Albania dopo appena 20 secondi di gioco nella prima partita della fase a gironi, quella più semplice, sulla carta. Un gol da record, frutto di un errore di Dimarco, per fortuna, recuperato dalle reti di Bastoni e Barella che hanno siglato la prima e unica vittoria della nazionale di Spalletti nella competizione continentale. Una prima partita che ha delineato molte debolezze dell’Italia ma, comunque, pur sempre una vittoria. Si passa, poi, alla Spagna e qui non è stata tanto la sconfitta a bruciare, ma il fatto che l’unico in campo sembrava essere Donnarumma che è riuscito a parare tutti i palloni avversari, senza però poter fare nulla per parare l’autorete di uno sfortunatissimo Calafiori. Sconfitta, però la Spagna è pur sempre la Spagna, andrà meglio la prossima. E invece, il mood continua anche con Croazia, pareggiata miracolosamente durante l’ultima azione, e con la Svizzera, assolutamente incontrastata in campo e capace di fare due gol.
Insomma, un’Italia lenta ad entrare nella partita, con una preparazione atletica a dir poco inadeguata, senza schemi di gioco fissi e senza un centravanti all’altezza. Un’Italia che ancora non si è formata, con 15 esordienti tra i 26 convocati e che, ancora, ne deve “mangiare di pastasciutta” – per riprendere l’espressione di Bonucci dopo la vittoria a Euro 2020 – prima di poter tornare come prima.
Un amaro ritorno
“La partita di ieri ci ha riportato a zero e da lì ripartiamo” queste le parole del ct il giorno dopo la grande disfatta. L’Italia riparte da zero e la ripartenza non poteva essere delle più amare perché la caduta avviene all’Olympiastadion e, da lì, fa ancora più male.
A distanza di 6.565 giorni dal trionfo del 2006, 18 anni dopo quel quarto Mondiale della nostra Nazionale guidata da Marcello Lippi, gli Azzurri sono tornati all’Olympiastadion, incapaci di affrontare anche la Svizzera. 18 anni dopo quell’immensa gioia che tutti ancora ricordiamo nitidamente, ma che vorremmo rimpiazzare con una più recente, i giocatori delll’Italia si sono dimostrati non ancora maturi per ripetere le gesta dei propri predecessori e, cosa che fa forse ancora più male, sappiamo per certo che, di questo passo, dopo l’esclusione da Russia 2018 e Qatar 2022, anche quella dal Mondiale in Nordamerica nel 2026, ci sembrerà cosa quasi scontata.
Un amaro ritorno perché avevamo visto il livello della nostra Nazionale, ma l’Italia è sempre stata imprevedibile, fantasiosa, piena di idee che nascono quando meno te lo aspetti, ma quando più serve, ed è proprio questo che è mancato alla nostra Italia, un’Italia ancora in grembo, con tanti esempi da seguire, ma con ancora tutto da fare.
Un’Italia che partirà da zero, così come affermato dal ct, che dovrà cercare un leader, che dovrà tirare fuori quella abilità agonistica e quella voglia di vincere che mancano, che dovrà creare un attaccante degno di questo nome, che dovrà crearsi degli schemi di gioco, certamente fluidi, adattabili agli avversari, ma che rispecchino la personalità dei nostri azzurri e che dovrà partire dai giovani, anche perché non abbiamo altro.
“Ringiovanirò questa rosa per creare un gruppo. Il futuro sarà più giovane con energie e forze nuove” così, Luciano Spalletti, parla della nuova Italia. Un Luciano Spalletti criticato, mortificato, già condannato all’esonero per molti ma che, nonostante gli indubbi errori, è stato sicuramente vittima del poco tempo e di un sistema calcistico che è completamente da rivedere.
Un sistema che fa fatica ad avere calciatori italiani in Serie A e che si ritrova delle squadre fortissime, ma fatte di giocatori di altre nazionalità; un sistema che deve andarsi a cercare i calciatori della nazionale dalla settima/ottava squadra del campionato, e non dalla prima come avveniva quando l’Italia era grande; un sistema che punta su chi è già forte all’estero anziché crescere nuovi talenti; un sistema che, come ha ben detto il ct azzurro, dovrebbe puntare sui giovani. Ma non siamo in una fiaba: Luciano Spalletti, da solo, non può molto, è il sistema che deve cambiare e, questo, a partire dalle scuole calcio. Scuole che, ormai, oltre ad aver perso i valori dello sport, sono destinate a delle famiglie di élite che possono permettersi dei mensili troppo alti per un figlio che poi, anche se dovesse essere bravo, difficilmente troverà qualcuno che vorrà puntare e investire sulla propria crescita.
Quindi, se vogliamo ritrovare una Nazionale degna dell’Italia che fu, è ora di cambiare il sistema, di puntare realmente sui giovani, anche “perdendoci”; di rendere le scuole calcio accessibili e un luogo in cui i bambini si innamorino del calcio e non vengano sgridati appena tentano una giocata fantasiosa o un dribbling; di cercare nuovi talenti negli oratori, nelle piazze, nelle vie di spaccio dei quartieri periferici perché lì, forse, ci sono ancora qualche Roberto Baggio o Alessandro Del Piero che palleggiano con gli stracci, con un limone o con un pallone sgonfio, e noi – che aspettiamo sempre che un talento arrivi chissà da dove – neanche ce ne accorgiamo. Forse anche perché è più comodo tenerli sul divano a giocare ai videogiochi, anziché affidare loro un pallone da rincorrere con i coetanei… ma questa è un’altra ragione profonda che merita accurate riflessioni.
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