Giustizia e pace in un mondo in guerra
Lunedì primo luglio è prevista una grande manifestazione a Tel Aviv in Israele per dire che “Il tempo della pace è adesso”. L’hanno organizzata le numerose realtà israeliane e palestinesi che continuano a costruire legami di pace pur davanti alla tragedia che si sta consumando in Terra Santa.
Piuttosto che maledire il buio si tratta di dare spazio agli spiragli di luce che esistono. Il grido di orrore non ci può lasciare indifferenti come ha dimostrato la coalizione “Assisi pace giusta” promossa in Italia nel 2021 davanti ai nodi irrisolti della questione israelopalestinese destinati, come si è visto, ad esplodere, prima o poi, in mancanza di una vera politica di pace. Esiste, infatti, un consolidato rapporto tra il ricco tessuto associativo presente nel nostro Paese con il complesso mondo del Medio Oriente. Si rimanda, ad esempio, alle interviste a Sergio Bassoli e Giorgio Gomel pubblicate su cittanuova.it
La manifestazione di Tel Aviv, centro economico e moderno di Israele e sede della maggior parte delle ambasciate dei Paesi esteri, si svolgerà in uno stadio e sarà collegata in diretta con diverse parti del mondo, compresa ovviamente l’Italia grazie ad Assisi pace giusta, di cui è parte attiva la Fondazione Giorgio La Pira, e Rete italiana pace e disarmo. Nel comunicato congiunto, aperto a nuove adesioni, si riaffermano quali sono gli obiettivi condivisi: «Il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e dei prigionieri, il riconoscimento dello stato di Palestina nei confini del 1967, la fine dell’occupazione, l’applicazione delle risoluzione delle Nazioni Unite, del diritto internazionale ed umanitario».
Come ha detto a Terrasanta.net Manuela Dviri, del centro Peres per la pace, che abbiamo conosciuto grazie all’infaticabile opera di pace di Massimo Toschi con l’operazione Saving children, «la guerra è follia pura. Non si può ottenere nulla dalla violenza. Spero che tutto questo finisca presto e i negoziati portino frutto. Credo che l’unica via sia quella di lavorare insieme, con le forze che ancora ci sono. E queste forze ci sono… Non c’è altra scelta».
Dopo il 7 ottobre la Dviri si sta spendendo in particolare, per sostenere i bambini e le donne di alcune comunità beduine nel deserto del Neghev.
I segni eloquenti di questo cammino controcorrente si sono visti il 18 maggio a Verona con la travolgente testimonianza offerta dall’ebreo israeliano Maoz Inon e dal palestinese Aziz Abu Sarah davanti a papa Francesco. I due imprenditori non esprimono un’istanza isolata ma fanno parte, come già scritto su cittanuova.it, della rete di associazioni attive nell’Alleanza per la pace in Medio Oriente.
È a questa umanità che ripudia la seduzione dell’odio, espressa e alimentata dalla guerra, che occorre dare una risposta non solo di solidarietà ma politica. E questa scelta passa, in primo luogo, dalla decisione di bloccare ogni invio di armi destinate ad un conflitto senza fine, destinato pericolosamente ad estendersi come appare sempre più possibile a nord di Israele, cioè sulla frontiera con il Libano dove opera il contingente italiano di 1.300 militari che partecipa alla missione di interposizione decisa dall’Onu.
Come al solito sono stati i portuali di Genova del Calp ad esporsi personalmente e decidere di non collaborare nel transito di navi contenenti armi destinate ad alimentare l’operazione militare israeliana in corso a Gaza ripetendo lo slogan “la guerra comincia qui”.
Ad essere chiamata in gioco è l’applicazione della legge 185/90, sotto attacco ma ancora vigente in Italia. La norma vieta di esportare armi in Paesi in guerra e/o che violano i diritti umani e il Trattato delle Nazioni Unite sul commercio di armi del 2013, che obbliga il nostro Paese a prendere in considerazione, come riporta l’analista di Opal Giorgio Beretta citando il testo, il rischio sull’uso delle armi per «commettere o agevolare gravi atti di violenza di genere o atti di violenza contro donne e bambini». Esistono, inoltre, sulla necessità di fermare la guerra a Gaza, le prescrizioni molto puntuali da parte della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja come approfondito su cittanuova.it dalla giurista Marilena Montanari.
Quella di Verona non è stata una semplice udienza papale trasferita nella storica Arena, che regge nei secoli continuando ad ospitare eventi e spettacoli di ogni genere. È stato, invece, un luogo di convergenza di numerosi movimenti popolari che si sono dati degli obiettivi precisi sulle grandi questioni relative ad ambiente, migrazioni, economia e costruzione della pace.
Non poteva non emergere la grave contaminazione di sostanze Pfas nell’acqua, emersa e accertata in una vasta area del Veneto. Un atto di guerra perpetrato da un certo tipo di sistema economico contro la vita e la salute di centinaia di migliaia di persone che continua a consumarsi se non si interviene con le bonifiche da finanziare e con efficaci leggi di messa al bando delle sostanze inquinanti.
Sono queste le istanze di democrazia e reale partecipazione che la Settimana sociale dei cattolici in Italia in programma a Trieste dal 3 al 7 luglio potrebbe far emergere. E in questa città che è luogo di incontro di culture diverse, crocevia della storia europea e snodo di collegamenti internazionali, non può non emergere l’urgenza della risposta da offrire alla “guerra mondiale a pezzi” denunciata con lucida preveggenza da papa Francesco che nel settembre del 2014, davanti al sacrario di Redipuglia, parlò di “pianificatori del terrore” e interessi prevaricatori dell’industria delle armi che ripetono oggi come 100 anni addietro, nella prima guerra mondiale, il grido di Caino «a me che importa?».
Parole pesanti, pronunciate poco dopo la firma degli accordi di Minsk che dovevano assicurare la pace nella contesa russo ucraina, sfociata, invece, in guerra aperta il 24 febbraio 2022 con l’invasione decisa da Putin.
Una nuova carneficina nel cuore dell’Europa che ha accelerato vertiginosamente la corsa al riarmo, compreso quello atomico, e lo scenario di una possibile incontrollabile escalation bellica.
Paolo Rumiz, scrittore triestino di grande esperienza sulle frontiere, riprende l’immagine del “sonnambulismo” della generazione del 1914 che precipitò nel ciclo delle guerre mondiali sfociate nel fungo atomico su Hiroshima e Nagasaki del 1945. Il fatto che ha segnato il passaggio ad una nuova era, quella attuale, che Giorgio La Pira ha definito «il crinale apocalittico della storia», aperta, cioè, alla reale possibile autodistruzione dell’umanità o alla sua rifioritura.
E proprio in questa direzione contraria all’orrore dell’annientamento, nello sforzo di far vita ad un Mediterraneo di fraternità, nonostante la ferocia del tempo presente, che si è mossa la proposta dalla diocesi di Bologna di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme a metà giugno.
Come ha detto il cardinale Matteo Zuppi riportato da Avvenire, «molti dicevano che non era il momento: troppi problemi e troppa sensibilità. In questi giorni in Terra Santa, invece, tutti ci hanno ripetuto il contrario. “Ci ricorderemo del fatto che siete venuti mentre sperimentavamo lo sconforto dell’abbandono”. Non portiamo soluzioni, solo amore da condividere. Come quando si va a fare visita all’amico malato. A qualcuno può sembrare inutile perché pensa solo a salvare se stesso. Non c’è, però, salvezza da soli. La pace è sempre insieme».
Nel loro viaggio i 160 italiani, non solo bolognesi, hanno incontrato la sofferenza di palestinesi e israeliani che non si tramuta in odio. Tra le altre la testimonianza dell’israeliana Rachel, della quale abbiamo parlato su Città Nuova all’indomani della strage del 7 ottobre, madre di Hersh, un giovane rapito da Hamas durante l’eccidio. Ai pellegrini di pace ha ripetuto «Non deve esserci una gara fra i dolori. Tutti soffrono. Non voglio che la mia afflizione ne provochi altra. Unisco la mia sofferenza a quella dei tanti innocenti uccisi nella Striscia».
Parole che confermano quanto scritto da Hanna Arendt: «Anche nei tempi più oscuri abbiamo il diritto di attenderci qualche illuminazione. Ed è molto probabile che essa ci giungerà non tanto da teorie e concetti, quanto dalla luce incerta, vacillante e spesso fioca che alcuni uomini e donne, nel corso della loro vita e del loro lavoro, avranno acceso in ogni genere di circostanze, diffondendola nell’arco del tempo che fu loro concesso di trascorrere sulla terra».
L’incontro web “Da Verona a Trieste passando per Gerusalemme. Giustizia e pace in un mondo in guerra” promosso dal movimento dei Focolari Italia in collaborazione con Città Nuova, verrà trasmesso lunedì primo luglio 2024 alle ore 21 in diretta sul canale Youtube di Focolare Italia
https://www.youtube.com/live/cJfKQatJKPU