I boliviani riscelgono la democrazia

Il comandante dell'Esercito circonda ed isola il palazzo di governo, il presidente mobilita le basi, e l'apparente colpo di Stato finisce in poche ore senza spargimento di sangue. Golpe o messa in scena? Fragilità e forza in un Paese avvolto dalla crisi economica e ostaggio di una lotta per il potere politico
Il presidente Luis Arce, al centro, dopo il fallito tentativo di colpo si Stato. Foto via Ansa EPA/Luis Gandarillas

Immagini cariche di dramma e tensione si succedono incalzanti: un mezzo militare blindato sfonda il portone di servizio del palazzo di governo; militari antisommossa lo circondano e occupano la piazza. Il presidente chiama la cittadinanza e le organizzazioni sociali a mobilitarsi «contro il colpo di Stato e a favore della democrazia». Mentre i governanti latinoamericani si affrettano ad esprimere su X (ex Twitter) il loro sostegno alla democrazia e ripudiare il tentativo di golpe, e gruppi di sindacalisti filogovernativi scendono in piazza e improvvisano posti di blocco non violenti, dall’atrio del Palacio Quemado lo smartphone di un giornalista trasmette la sequenza clou: il presidente Arce intima all’insorto capo dell’Esercito di ripiegare. Questi si nega, ma non lo imprigiona: ritorna sui suoi passi masticando (cibo? Un chewing gum?) e lasciando i soldati sul posto. Poco dopo, abbandona la piazza a bordo di un blindato.

La scena lascia perplessi. L’atto seguente lo trasmettono le telecamere: è la nomina della nuova cupola militare, dopo la destituzione di quella fino ad allora in carica. Il nuovo capo dell’Esercito riafferma la fedeltà della sua istituzione a governo, popolo e Costituzione, e intima ai militari mobilitati di rientrare nei ranghi. «Il generale Zúñiga è stato un buon comandante», aggiunge, e gli chiede: «Non sparga il sangue dei nostri soldati». Finale con sorpresa: il golpista è arrestato ma, mentre sale in macchina, rivela ai giornalisti: «Domenica il presidente mi ha detto che la situazione era molto complicata e c’era bisogno di qualcosa che elevasse la sua popolarità. Gli ho chiesto: vuole i carri armati per le strade? Falli uscire, mi ha risposto». Una trascrizione parziale della sua prima deposizione alla Polizia Militare pubblicato dal quotidiano La Razón parla però di gestazione di un “sollevazione” militare sin da maggio.

A cosa abbiamo assistito allora? A un maldestro colpo di Stato frustrato? A un auto-golpe? A una messa in scena? Non ci sono certezze, ma la prima ipotesi è debole. Il “Manuale del perfetto golpista” non è stato neppure aperto: nessun attacco simultaneo, né arresto di comandanti lealisti; capo del governo sempre attorniato dai suoi, mai arrestato né isolato e sempre in condizioni di contattare il resto dei comandi militari; non si sono oscurate né occupate radio e TV di Stato, ed è davvero difficile credere che il coraggio del presidente e il timore di un possibile bagno di sangue o di una “sconfitta sul campo” siano bastati a scongiurare il peggio. In questo, concordano analisti politici e militari, e le fonti vincolate al settore militare da noi consultate.

Certamente è inedito che l’ipotesi auto-golpe sia stata propugnata dal presunto golpista materiale. Dove comincia e dove finisce allora la messa in scena? La domanda chiave è comunque se l’operazione sia riuscita. Quella che ne segue rimanda agli esiti a medio termine.

Il generale Juan José Zúñiga, un militare vicino al presidente Luís “Lucho” Arce, è oggi agli arresti, insieme a altri 16 tra militari e civili. Rischia dai 20 ai 30 anni, così come il capo della Marina Militare Juan Arnez Salvador. Vero è che non aveva mai parlato di colpo di Stato, bensì di “cambio di Consiglio dei Ministri” e di liberazione dei “prigionieri politici”. Ma pensare di ottenerlo con un così scarso appoggio castrense… Soprattutto è ignoto come mai abbia “rivelato” il piano segreto del presidente, l’unico che avrebbe potuto, col tempo, amnistiarlo. Forse cerca proiezione politica in un futuro governo, oppure ha altri alleati.

Tutto era cominciato con le sue parole forti contro le velleità di un’ennesima rielezione dell’ex presidente Evo Morales. In dicembre una sentenza aveva definitivamente affossato questa sua aspirazione incostituzionale, ma il leader indigeno dei coltivatori di coca non demordeva. Di qui il pronunciamento di Zúñiga. «Le Forze Armate hanno la missione di far rispettare la Costituzione», «Manterremo questo compito fino in fondo. Siamo un braccio armato del popolo, un braccio armato della Patria». La Costituzione e la democrazia, a suo dire, sarebbe stata presa in ostaggio da Evo Morales, che si era mantenuto al governo per 13 anni nonostante la proibizione legale di più di due mandati (quadriennali) consecutivi. Il pronunciamento, in televisione, martedì (un giorno prima del presunto golpe) era costato al comandante una destituzione che non aveva avuto conseguenze, vista la sua irruzione in piazza.

La Bolivia attraversa una severa crisi economica, dopo anni di crescita sostenuta. La disponibilità di benzina e gasolio è fortemente limitata, come quella di dollari, due fattori pivot dei processi produttivi e commerciali di un paese agricolo, minerario ed esportatore, anche di idrocarburi, che ora importa petrolio e che trasporta la produzione agricola quasi esclusivamente su gomma. I prezzi, ovviamente sono alle stelle.

Le cause sono molteplici, ma lo scarso gradimento del governo attuale è un fatto, come la divisione del MAS (il Movimento per il socialismo) in “evisti” e “arcisti”, difficilmente sanabile. L’anno scorso, di congressi annuali di un partito che aveva fatto dell’unità contadina e operaia capillarmente organizzata la sua forza vincente ce ne sono stati due, ognuno dei quali ha “scomunicato” l’altro. Ciascuno dei due leader accusa l’altro di corruzione, di tradimento agli ideali, di vicinanza al narcotraffico e di eccessivo amore alla poltrona del potere.

Logicamente Evo Morales mercoledì ha difeso la democrazia, e quindi la continuità del governo del suo ex pupillo. Il presidente Arce ora respira: ogni settore sociale e politico ha dimostrato di volere comunque la democrazia. Avrà gioco facile, per qualche tempo, date le minacce antidemocratiche che richiedono compattezza, nel promulgare misure altrimenti impopolari dirette al miglioramento dell’economia, frenando così gli scioperi sui quali soffia il suo ex mentore. Esce quindi vincitore, per ora, da questo strano capitolo delle vicende socio-politiche del Paese.

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