Cosa vedere a luglio: seconda parte

Fra le numerose proposte, abbiamo scelto Shoshana di Winterbottom sulla nascita di Israele e il turco Racconto di due stagioni.
Irina Starshenbaum, coprotagonista di Shoshana, al festoval di Cannes. Foto via Ansa EPA/SEBASTIEN NOGIER

Israele e Turchia. Due paesi che si affacciano sul Mediterraneo, due storie politiche pesanti e contraddittorie. Tanta, la scia di morte nel presente e nel passato.

Fa bene vedere il film di Michael Winterbottom, girato in una Puglia che miracolosamente assomiglia alla Palestina. Si tratta di un trhiller politico che ci porta a Tel Aviv negli Anni Trenta. Racconta l’inizio delle tensioni fra ebrei e palestinesi, la scintilla delle guerre fratricide mai spente.

La storia, è quella, vera, di amore tra Shoshana, ebrea e Tom inglese. Lei figlia di un sionista socialista, lui poliziotto dell’antiterrorismo in servizio nella Palestina che, dopo la prima guerra mondiale, è sotto il protettorato britannico. Inutile dire la durezza inglese nel torturare, uccidere, sventare gli attentati da parte delle varie formazioni per la liberazione del Paese. La conflittualità si riflette per forza sulla vicenda amorosa della coppia che viene sconvolta, disunita e infine in qualche misura riunita.

È un pezzo di storia poco conosciuto anche da parte degli inglesi e del regista. Alla fine i britannici se ne andranno, nascerà lo stato israeliano e il conflitto con i palestinesi non finirà fino ad oggi.

Il film non è un documentario – anche se c’è la voce fuoricampo – ma un racconto duro, reale e appassionato di mondi che vorrebbero collaborare ma non ci riescono. Sembra che l’idea del conflitto sia più forte di quella della pace e della concordia, tanto che diventa dramma anche la storia amorosa dei due circondata dalla violenza. Il regista si districa abbastanza bene tra i diversi registri del thriller, aiutato dai bravi attori Irina Starshenbaum e Douglas Booth. Non è certo un capolavoro come La battaglia di Algeri del nostro Pontecorvo; ma è ben girato, chiaro, e ci fa entrare nella preistoria di una vicenda che ancora ci scuote.

Siamo invece in un paesino sperduto dell’Anatolia nell’intenso Racconto di due stagioni di Nuri Bilge. Narra, tra monti sperduti e nevosi e brevissime estati in un paesino, la storia – non amorosa – tra una professoressa d’inglese che ha subito un attentato e un collega in preda ad una crisi esistenziale. Riflessioni emozioni e domande si snodano nei dialoghi dentro una natura affascinante ma quasi ostile, lenta, ad indicare la crisi degli intellettuali del paese ormai di fatto impediti ad esprimersi liberamente. La domanda conclusiva alla fine di questo lungo lavoro è la stessa di sempre: fin dove è possibile che le persone possano usare l’intelligenza per esprimere le proprie esigenze più profonde, di libertà prima di tutto?

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