Perché è così difficile essere gentili con sé stessi?

Spesso fare autocritica, anche severa, ci appare come un modo giusto per crescere e migliorarci. In realtà ciò può diventare un ostacolo
gentilezza
(Foto: Pexels)

Quando si parla di volersi migliorare di voler intraprendere un percorso crescita personale, spesso prevale l’idea che dobbiamo mettere a tacere il nostro critico interiore, relegandolo nelle profondità della nostra mente. Sappiamo bene che questa voce interiore, con le sue incessanti critiche e negatività, diventa un ostacolo per il nostro progresso e per il nostro benessere. Ma nonostante ciò e nonostante i nostri sforzi, spesso troviamo difficile lasciar andare questo compagno familiare.

Ma perché è così difficile dire addio al critico interiore che mina la nostra autostima? Cosa ci tiene legati al suo giudizio, anche quando sappiamo che è dannoso?

Il critico interiore, nel bene e nel male, è stato sempre presente nella nostra vita. È una voce che siamo abituati a sentire, addirittura fin dall’infanzia. Paradossalmente, le sue critiche possono sembrare una forma distorta di convalida, che rafforza modelli e convinzioni familiari su noi stessi, non importa quanto possano essere dannosi.

Inoltre, c’è un altro paradosso, perché il critico interiore spesso si presenta come una forza che vuole motivarci e che ci spinge verso la perfezione e l’eccellenza. Molti pensano che, se i suoi giudizi severi rimangono inascoltati, rischiano di diventare compiacenti, rimanendo nella mediocrità invece di impegnarsi a raggiungere il loro pieno potenziale. In questo modo, il critico interiore si intreccia con le nostre aspirazioni, convincendoci che la sua presenza è necessaria per il successo.

In realtà, il critico interiore ci danneggia e mina la nostra autostima. I genitori sanno in modo istintivo che rimproverare un bambino che sta imparando a camminare non funziona, e usano invece una voce incoraggiante. Sostituire il critico con una voce che ti incoraggia può portarci molto più lontano.

Però per molti la critica verso se stessi è uno scudo contro la vulnerabilità e il rifiuto. Criticando se stessi preventivamente, potremmo tentare di proteggerci da potenziali critiche degli altri, credendo che se siamo i primi a sottolineare i nostri difetti, questi ci feriranno meno se notati dagli altri. È un meccanismo di difesa difettoso, ma profondamente radicato.

Riconoscere le ragioni dietro il nostro attaccamento al critico interiore è il primo passo verso la liberazione. Si tratta di comprendere che, sebbene la critica possa aver avuto un suo scopo in passato, la sua presenza non è più favorevole alla nostra crescita e al nostro benessere.

Invece di sopprimere il critico interiore con la forza, possiamo coltivare una relazione più compassionevole con noi stessi. La gentilezza verso noi stessi porta a trattarci con la stessa compassione e comprensione che offriremmo a un amico nei momenti di difficoltà. Significa riconoscere i propri difetti e imperfezioni senza giudizio e accettare che il nostro valore è intrinseco, indipendentemente da risultati o errori.

Accogliendo l’auto-gentilezza, possiamo iniziare ad allentare la presa del critico interiore e creare spazio per l’accettazione e la crescita personale. È un viaggio senza dubbio pieno di sfide, ma che poi porta a maggiore pace, realizzazione e autenticità.

Quindi, iniziando a rispondere al proprio critico tiranno, gli diciamo che non abbiamo più bisogno del suo contributo, in modo da accogliere al suo posto la voce solidale dell’auto-gentilezza. Così, quando abbracciamo le nostre imperfezioni, scopriamo quanto è bella la nostra umanità.

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