Il silenzio su Gaza e il digiuno come reazione all’orrore

L’opinione pubblica appare assuefatta davanti ai numeri in continua crescita delle vittimi civili nella Striscia di Gaza. Archiviata in fretta l’uccisione di 270 palestinesi, grandi e piccoli, nell’operazione militare che ha liberato 4 persone israeliane rapite durante l’eccidio di Hamas del 7 ottobre. Una traccia di resistenza del senso di umanità nel digiuno per la pace che si è propagato da Marghera a diverse località in Italia. L’appello estremo di Medici senza frontiere a rompere l’inazione politica
Protesta silenziosa contro la tragedia di Gaza in Palestina EPA/FAZRY ISMAIL

Sta avvenendo sotto i nostri occhi ma non riusciamo a prestargli attenzione, mentre i media prevalenti media parlano in maniera preponderante del resort di lusso che in Puglia ospita il vertice del G7 blindato da un costoso cordone di sicurezza.

ANSA EPA/MOHAMMED SABER

La notizia rimossa di questi giorni riguarda il costo umano dell’operazione militare sferrata dall’esercito israeliano sabato 8 giugno, durante le elezioni europee, per liberare 4 persone rapite durante l’eccidio perpetrato da Hamas lo scorso 7 ottobre 2023 nei territori confinanti con la Striscia di Gaza.

L’Onu, come ha riportato l’Ansa, ha affermato di essere «profondamente scioccato» dall’«impatto sui civili» dell’intervento armato dell’Idf che ha provocato «270 morti tra i palestinesi, compresi donne e bambini, oltre a un militare israeliano». E 400 persone ferite.

La tattica terroristica adottata da Hamas ha messo in conto il prezzo che avrebbe pagato la popolazione civile di Gaza di fronte all’inevitabile ritorsione da parte del governo di Netanyahu. La carneficina ha ormai raggiunto cifre così enormi (oltre 30 mila morti) da provocare paradossalmente una progressiva assuefazione da parte di quella parte dell’opinione pubblica permeata da narrazioni efficaci, ad esempio la famosa serie televisiva Fauda, che rappresentano i palestinesi inevitabilmente come corrotti o terroristi generando una mancanza di empatia per la loro morte.

Si giunge addirittura a negare, secondo alcuni, la contabilità effettiva delle decine di migliaia di vittime fornite da fonti del Ministero della Sanità palestinese di Gaza anche di fronte ad una documentazione resa possibile, tragicamente, dai giornalisti e fotoreporter palestinesi rimasti, a costo della vita, nei territori sotto attacco. Il bilancio a fine marzo 2024 parla di 120 giornalisti morti sotto il fuoco a Gaza.

Un grande servizio all’informazione è reso da alcune testate israeliane. Lo storico quotidiano Haaretz è un esempio eloquente di autentico giornalismo accanto a fonti più recenti diffuse sul web, quali i magazine indipendenti “+972” e “Local Call” che hanno compiuto, ad esempio, un notevole lavoro di inchiesta sull’uso dell’intelligenza artificiale da parte dell’esercito israeliano nell’individuare e colpire obiettivi militari senza escludere anche possibili vittime civili.

Ovviamente questa capacità di inchiesta e di denuncia avviene restando, come dicono le Nazioni Unite, «profondamente angosciate» dal fatto che le forze di Hamas «detengano ancora numerosi ostaggi».

Papa Francesco abbraccia l’israeliano Maoz Inon, al quale sono stati uccisi i genitori da Hamas il 7 ottobre, e il palestinese Aziz Sarah, al quale l’esercito israeliano ha ucciso il fratello, durante l’incontro “Arena di Pace” a Verona, 18 maggio 2024. ANSA / VATICAN MEDIA

L’enorme insensata violenza che si sta consumano in Terra Santa non può che alimentare ulteriore e più efferato odio e rancore se non interviene una scelta radicalmente alterativa come quella testimoniata pubblicamente il 18 maggio, durante l’Arena di pace di Verona, dall’israeliano Maoz Inon e il palestinese Aziz Sarah, attivi nella rete dell’Alleanza per la pace in Medio Oriente.

È vero, occorre riconoscerlo, che, pur nell’era dei social e dell’accesso al web, una massa di persone continua ad ignorare ciò che accade nel mondo o semplicemente non vuole sapere per continuare a restare indifferente. Ma esistono notevoli eccezioni se solo si volesse dare spazio a manifestazioni di protesta presenti in tutto il mondo.

Bernardino Mason e Carlo Giacomini, secondo e terzo da destra, a Marghera. Foto Francesco Vendramin

Esiste, inoltre, un caso singolare, di cui abbiamo parlato fin dall’inizio, nato a Marghera, quartiere popolare di Venezia, con la decisione di un numero crescente di persone che ha scelto di rifiutare l’imbarbarimento e la logica impotente della guerra usando il proprio corpo con il digiuno. L’astensione prolungata dal cibo esprime l’orrore davanti a tanto dolore e una forte istanza per trovare una via di uscita da un conflitto destinato ad aggravarsi sempre di più con l’effetto di attirare, come un enorme buco nero, l’umanità intera.

Carlo Giacomini e Bernardino Mason sono stati i primi ad iniziare questa particolare forma di testimonianza di pace che si è protratta, nel loro caso, per l’intero periodo quaresimale con una capacità di resistenza che ha sorpreso molti, finendo per essere seguiti da un numero crescente di persone, non solo del territorio veneziano, disposte a digiunare per uno o più giorni a settimana. Una pratica adottata anche da altri gruppi in altre regioni, ad esempio in Toscana e nelle Puglie. Il digiuno scelto come reazione all’orrore che richiede e invoca un’umanità perduta.

La sede dei digiunatori a Marghera è stata sempre contornata dalle bandiere dell’Onu, della Palestina e di Israele, assieme a quella iridata della pace. Il collegamento screscente tra i digiunatori, facilitato dagli strumenti informatici, ha fatto sorgere percorsi di approfondimento e di condivisione con diversi interlocutori (non solo israeliani e palestinesi) come testimonia la serie di registrazioni disponibili su youtube che rappresentano un documento eloquente di un tipo di umanità che non si arrende alla banalità del male e quindi della guerra.

Come hanno scritto in un comunicato relativo al 31 maggio 2024, Giornata nazionale di digiuno per la pace promosso anche dalla Chiesa italiana, queste persone «hanno messo in gioco il proprio corpo come forma collettiva di protesta, come comunanza con chi soffre e, per i credenti, come forma di preghiera che accomuna molte religioni».

La scelta del digiuno collettivo che ha coinvolto anche sindaci e consiglieri comunali nel Veneto, si è accompagnata ad un appello al Parlamento per realizzare 4 punti. Primo di tutto arrivare al «“cessate il fuoco”, ogni fuoco di guerra a Gaza, in Cisgiordania, in Libano e in Israele, fermando la carneficina tutt’oggi in corso. Come secondo punto, la richiesta di «liberare tutti gli ostaggi israeliani e i prigionieri palestinesi civili detenuti senza processo», assieme alla terza richiesta incentrata «sull’attivazione dell’immediato soccorso alle popolazioni palestinesi con forniture straordinarie di ciò che è necessario (acqua, cibo, elettricità, presidi sanitari e strumenti di comunicazione), e il ripristino dei finanziamenti all’Unrwa (Agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi). Infine, il quarto punto avanzato dai digiunatori riguarda l’attivazione di «una protezione internazionale delle popolazioni palestinesi con la presenza di una forza internazionale, possibilmente con avallo dell’Onu».

Niente di irragionevole in queste proposte secondo le ragioni minime di umanità che sembrano, tuttavia, bandite dalla follia imperante della guerra e del riarmo.

Foto Ansa EPA/MOHAMMED SABER

L’ultimo appello lanciato da Medici senza frontiere il 12 giugno si chiede per bocca di Brice de le Vingne, capo dell’unità di emergenza dell’organizzazione umanitaria: «Come può l’uccisione di più di 800 persone in una sola settimana, compresi i bambini piccoli, oltre alla mutilazione di altre centinaia, essere considerata un’operazione militare che aderisce al diritto internazionale umanitario?».

Da tale constatazione si leva dunque la richiesta rivolta da parte di Msf «agli alleati di Israele, compresi gli Stati Uniti, il Regno Unito e gli Stati membri dell’Unione europea, di fare tutto quanto in loro potere per influenzare Israele affinché fermi gli attacchi contro i civili e le infrastrutture civili a Gaza».

Parole che invitano a superare l’inazione politica che si trasforma in corresponsabilità davanti al tribunale della storia dove la voce flebile che si alza dai digiunatori di Marghera appare sempre più assordante.

In tale contesto, una delegazione della Chiesa italiana è partita il 12 giugno per Gerusalemme con l’intenzione di esprimere la vicinanza a tutte le vittime del conflitto e promuovere il cessate il fuoco. Assieme al presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, anche alcuni digiunatori, tra i quali il bolognese Giulio Boschi che su cittanuova.it ha raccontato il viaggio in Ucraina della carovana Stopthewarnow.

Nella notte c’è chi cerca di tenere accesa la luce della fraternità perché crede, nonostante, tutto nella capacità delle persone di resistere alla persuasiva seduzione della guerra.

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