Fame nel mondo, per eradicarla basta l’1% delle spese militari del G7

Vertice in Puglia dei sette grandi Paesi del blocco occidentale impegnati a definire una strategia mondiale davanti alla crescita delle altre potenze emergenti. Le contro tesi dei movimenti sociali e ambientalisti che organizzano una serie di manifestazioni nonviolente per affermare «la nostra Puglia, “arca di pace, non arco di guerra” tra popoli». Intervista a Alessandro Marescotti di Peacelink
Foto di gruppo a Stresa dei Ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche Centrali in vista del G7 di metà giugno in Puglia ANSA/JESSICA PASQUALON

Borgo Egnazia, nel comune di Fasano in Puglia, sarà inaccessibile ai non autorizzati dal 13 al 15 giugno 2024 per l’incontro blindato del Gruppo dei Sette o G7.

Sarà l’occasione di ulteriore vivibilità per la presidente del consiglio Giorgia Meloni chiamata a presiedere, nell’anno in corso, questo forum informale che riunisce periodicamente, a partire dal 1975, i vertici di Stati Uniti d’America, Canada, Francia, Germania, Regno unito, Giappone e Italia, con la partecipazione dei presidenti del Consiglio Europeo e della Commissione Europea. Cariche quest’ultime da rinnovare dopo l’elezione del nuovo Parlamento europeo, così come nuovi equilibri si attendono dalle elezioni anticipate in Francia e in Gran Bretagna che si svolgeranno entro gli inizi di luglio.

Le nazioni del G7, che esprimono il blocco occidentale guidato da Washington, hanno la pretesa esplicita di delineare una strategia comune per «affrontare le principali questioni globali» ed esercitare «un ruolo insostituibile sullo scenario mondiale nella difesa della libertà, della democrazia e dei diritti umani».

Anche la Russia ha fatto parte di questo gruppo (diventato perciò G8) per un lungo periodo, dal 1997 al 2013, fino alla sua estromissione decretata nel 2014 dopo l’annessione della Crimea a spese dell’Ucraina.

Nel mondo multipolare appare sempre più evidente che, nel giro di pochi anni, alcuni tra i cosiddetti “grandi” saranno ridimensionati dal peso di altre nazioni in forte crescita economica e demografica. Ma, appunto per tale motivo, si comprende l’importanza di capire come governare questo decisivo cambiamento d’epoca secondo studi e approfondimenti redatti dagli esperti nominati dai rispettivi governi per definire il comunicato finale del G7. Tali tecnici sono chiamati “sherpa”, prendendo il nome dai portatori di peso del Nepal che assistono gli scalatori del monte Himalaya.

Le tesi di questi tecnici dei vertici internazionali sono, di solito, contestate da gran parte dei movimenti sociali e ambientalisti, come si è visto durante le giornate infuocate del G8 di Genova del luglio 2001.

Da qualche tempo è stato così introdotto dal G7 un meccanismo di consultazione (cosiddetti Engagement Group) per associazioni e ong disponibili che hanno costituito un apposito coordinamento, denominato C7, ma una larga parte di altri comitati, movimenti e associazioni non si riconosce in un tale percorso che considera velleitario e superficiale e intende perciò esprimere il proprio dissenso contro il G7 organizzando manifestazioni e convegni in forma di controG7, che si svolgeranno comunque lontano dal luogo iper protetto di Borgo Egnazia, ma in diverse città della Puglia.

«Molto di più che nel 2001 – affermano gli organizzatori – oggi è necessaria una contestazione pubblica, pacifica e non violenta che faccia emergere l’inaccettabilità delle scelte del G7 e l’urgenza di un cambiamento di rotta». A tal fine vengono resi noti dati indicativi di un diverso orientamento delle priorità di spesa del G7 osservando ad esempio che «con una riduzione del 5,7% delle spese militari dei Paesi del solo G7 si potrebbero eliminare la morte per fame (-0,94%), per malaria (-1,06%) e la mortalità infantile in eccesso (-3,7%) nel mondo».

Tra le voci più critiche contro l’intera impostazione del G7 abbiamo ascoltato Alessandro Marescotti, noto attivista ecopacifista fondatore di Peacelink, esperto di questioni ambientali a partire dall’annoso caso dell’ex Ilva di Taranto che ha contribuito a far emergere con denunce puntuali e documentate.

Promotore di un progetto di conversione ecologica del sito tarantino, Marescotti, grazie alle competenze maturate sul campo, è stato più volte ascoltato in sede istituzionale come nell’ultima audizione del 28 maggio 2024 presso la Commissione industria del Senato.

Quali evidenze ha riportato nell’audizione in commissione del Senato? Come vede il futuro dell’ex Ilva?

Il futuro dell’ILVA semplicemente non esiste. Dal novembre 2018 al 31 dicembre 2022 l’azienda che gestisce lo stabilimento siderurgico ha accumulato passività globali per oltre 4 miliardi e 700 milioni. E mancano i dati del 2023 che sono presumibilmente pessimi. Che futuro può avere un’azienda per inquina una città producendo perdite anziché profitti? Un tempo si poteva dire che a Taranto si muore per il profitto. E tutto poteva avere una giustificazione, anche se macabra. Ma oggi? Questo ho cercato di dire in buona sostanza durante l’ultima audizione parlamentare.

Che importanza può avere oggi l’incontro del G7?

Il G7 rappresenta il club delle nazioni più ricche: Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Giappone. Ma il G7 vede eroso il proprio dominio economico e per questo si riarma. La quota del PIL globale dei Paesi del G7 è diminuita nel corso del tempo. Mentre nel 2000 i paesi del G7 detenevano oltre il 40% del PIL mondiale, questa percentuale è scesa a circa il 30% entro il 2022 . Questo calo è in parte dovuto allo sviluppo economico della Cina negli ultimi decenni. Inoltre, si prevede che la quota del Pil globale del G7 scenderà ulteriormente al 28% entro il 2027. I Paesi del G7 rimangono influenti ma la loro predominanza economica rispetto al resto del mondo si è ridotta rispetto al passato.

Il G7 esprime il 48% della spesa militare mondiale per difendere il 30% del PIL mondiale: questa cosa fa riflettere e spiega l’aggressività militare di questo “club di ricchi”. Teniamo presente che complessivamente, i Paesi del G7 hanno speso approssimativamente 1166 miliardi di dollari in spese militari nel 2023, rappresentando quasi il 48% della spesa militare globale (SIPRI).

Quali sono le proposte che avanzate come reti della società civile?

Chiediamo la pace. E una riconversione delle spese militari. Basterebbe convertire l’1% delle spese militari del G7 per eradicare la fame dal mondo. Non se ne parla molto, vero?

Ma non vi siete stancati di fare proposte a dei vertici che si consumano in luoghi blindati con tesi precostituite?

Non facciamo proposte: denunciamo all’opinione pubblica mondiale il cinismo delle nazioni del G7. Siamo convinti che è il momento di contestare, non di dialogare. Esiste il C7 – un coordinamento di associazioni che ha deciso di “dialogare in modo costruttivo” con il G7 -, ma noi abbiamo preso le distanze da quell’approccio che è un’inversione a U rispetto alla contestazione di Genova del 2001. Pertanto abbiamo collegato varie associazioni in una rete che abbiamo chiamato “Contro forum G7”. Faremo contestazione, certo nonviolenta, ma contestazione ferma e convinta.

Che bilancio si può fare dal G8 del 2001 a Genova a questo che si celebra in Puglia in uno scenario inquietante di guerra?

C’è una grande differenza. Al tempo del G8, nel 2001, la Russia era invitata a far parte della globalizzazione. Adesso siamo tornati ai tempi dello scontro della guerra fredda. Ma in più la Russia combatte e la Nato invia le armi. Siamo alla guerra calda, a un passo dalla guerra nucleare se la Nato decide, come ha detto Macron, di inviare soldati in Ucraina. Il bilancio oggi è inquietante. Se nel 2001 si contestava la globalizzazione oggi siamo in piazza a contestare la guerra che si sta mangiando l’economia e il futuro di tutti noi.

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