Tutti insieme l’anno prossimo a Gerusalemme?

Mentre si discute di Palestina - in un turbine di contatti diplomatici a 360 gradi, cercando di trovare un accordo sul Piano Biden, su tregue temporanee o durature, su rilascio di ostaggi prima o dopo, aiuti umanitari sì o no, occupazioni a tempo indeterminato e quant’altro, - a Gaza, e non solo, continua la guerra.

“L’anno prossimo a Gerusalemme” è l’augurio-promessa che gli ebrei si scambiano da tempo immemorabile alla conclusione della Pasqua ebraica. Augurio che probabilmente nasce come speranza e fiducia in Dio durante l’esilio, quello babilonese o uno dei molti altri. Parla della nostalgia di Gerusalemme, del dono di Dio, e non ha nulla a che vedere con una rivendicazione sionista di possesso esclusivo ed escludente della terra. Parla di Israele come della meravigliosa utopia di un popolo, aperta a tutti i popoli e al dialogo con tutti.

Un segno storico di questa visione fu proprio il tempio, in particolare quello ampliato nel I sec. d.C. da Erode (che come profeta non fu granché, ma come politico fu un opportunista senza scrupoli), raso al suolo dai romani nel 70 d.C., di cui oggi resta solo il muro occidentale, volgarmente detto “muro del pianto”. Nel tempio di Erode, oltre al resto, c’era uno spazio, un ampio cortile, detto dei Gentili (cioè delle genti non giudee) al quale potevano accedere tutti e dove era possibile dialogare: un luogo di incontro delle diversità.

Non è esattamente il pensiero del ministro israeliano Itamar Ben-Gvir (leader di Potere ebraico) che minaccia indignato di far cadere il governo e Netanyahu se si arriverà a riconoscere uno Stato palestinese.

In questi giorni si fa un gran discutere di tregua temporanea e duratura, rilascio di ostaggi prima o dopo, aiuti umanitari sì o no, ecc. Difficile prevedere se e quale compromesso si potrà ottenere con il Piano Biden. Intanto a Tel Aviv si continua a farneticare di “sconfitta” definitiva di Hamas e poi si vedrà, forse fra altri sette-otto mesi (cioè fino alla prossima presidenza statunitense, data per scontata, di Donald Trump).

Non importa che i civili palestinesi non siano considerati terroristi, ma vittime da oltre metà dell’umanità (Onu compresa). Chiusi nel loro altero isolamento, i puri e duri di Gerusalemme non si piegano. Ma potrebbero spezzarsi. Mi viene in mente che in Italia c’è stato un politico che diceva con aria sprezzante una cosa molto simile a quelle che raccontano i Netanyahu e i Ben Gvir: “Molti nemici, molto onore” (frase che peraltro aveva scopiazzato da altri). Quel politico italiano con tutta la sua retorica ha fatto una brutta fine, 80 anni fa, nonostante, come diceva mia nonna, avesse fatto anche delle cose buone nel ventennio precedente la caduta.

Mi ha dato speranza, oltre al gesto dei due uomini – un ebreo e un palestinese – che si sono stretti a papa Francesco poco tempo fa, la notizia dell’istituzione di un premio, il “Vivian Silver Impact Award”. Vivian Silver era una donna israelo-canadese, pacifista impegnata da anni, uccisa dai miliziani di Hamas nell’attacco del 7 ottobre 2023.

Il premio verrà assegnato ogni anno a una donna araba e ad una ebrea impegnate a favore della pace e della convivenza tra i due popoli. Yonatan Zeigen, figlio di Vivian Silver, all’istituzione del premio intitolato a sua madre, ha analizzato “la spirale di violenza e terrore che sta insanguinando la Terra Santa”. Nell’intervista di AsiaNews, Zeigen sottolinea come non veda “alcuna conseguenza positiva” nel conflitto. «Uno scontro – ha detto – che si perpetra irrisolto anche per evidenti responsabilità della comunità internazionale, in primis di Stati Uniti ed Europa che devono smettere di “importare nei loro Paesi il nostro conflitto” ma devono iniziare “ad esportare soluzioni”».

Ha detto anche un’altra cosa che Ben Gvir e Netanyahu rigettano con sdegno: “Non è possibile distruggere Hamas, perché Hamas è un’idea” di “resistenza” e se non si cambiano “la mentalità” e “la realtà attorno a noi non importa quanti membri di Hamas potrai uccidere, perché se ne formeranno sempre di nuovi e in numero maggiore”. E continuando con “la logica dell’occupazione […] si tornerà sempre al 7 ottobre e non è una bella posizione in cui stare, per nessuno”.

Io provo una grande nostalgia di Gerusalemme, che ho sempre amato, e l’anno prossimo ci vorrei andare in pace.

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