Parma in serie A, un dialogo con Fabio Pecchia

Intervista all'allenatore del Parma Fabio Pecchia. La squadra è ritornata di recente in serie A, dopo tre anni in serie B. Grande festa nella città emiliana
CREDIT PARMA CALCIO

È stata una stagione ricca di emozioni quella vissuta dal Parma ritornato in serie A per quella speciale alchimia creatasi tra società, squadra e tifosi gialloblu! È indiscutibile, però, che l’allenatore Fabio Pecchia è stato il top player di questo campionato: il suo collettivismo è stata l’arma in più. Ha dato un’identità di gioco fantastica coinvolgendo l’intero gruppo e trasmettendo la mentalità vincente.

Tra una premiazione e l’altra, sono riuscita a contattarlo, io tifosa da una vita. Sembrava impossibile ottenere un’ intervista con il mister e invece ci siamo ritrovati a confrontarci, ripercorrendo, attraverso una lunga carrellata di ricordi, le emozioni, le esperienze ancora fresche e alcuni momenti salienti della sua vita privata e pubblica.

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Quando è nata la sua passione per il Calcio?

Fin da piccolo, al punto che da Latina a soli 12 anni, pur soffrendo per la lontananza dalla mia famiglia, mi sono trasferito per formarmi in ambito calcistico ad Avellino, dove ho frequentato le scuole medie e poi ragioneria. Sono rimasto nel club avellinese per 8 anni, ero determinato in questa scelta pur consapevole dei sacrifici da affrontare. Ero insieme con altri 30 ragazzi, come me provenienti da varie città, con i quali ho condiviso tutto e ho stretto legami di amicizia.

Perciò ho sofferto quando nessuno di loro ha ottenuto i miei risultati: avevano faticato, sognato, combattuto quanto me, ma non ce l’hanno fatta. Dopo mi sono trasferito a Napoli per 4 anni, diventando l’allenatore della squadra e lì siamo andati in serie A! Quindi sono laziale, ma campano di adozione e ora emiliano perché da 5 anni mi sono trasferito a Bologna con la famiglia. L’Emilia Romagna è una terra che mi piace, mi attira il modo di vivere della sua gente cordiale, aperta, generosa verso tutti. E così mi sono portato dietro la mia famiglia. Lavoro e famiglia vanno insieme, la famiglia è la base, il sostegno. Mi ritengo molto fortunato: ho moglie e tre figlie per cui in casa sono una minoranza, ma mi so difendere!

Che peso ha avuto il suo passato di centrocampista e di allenatore in varie squadre?

È chiaro che le esperienze vissute me le porto dietro, però si tratta di due carriere diverse: l’esperienza come calciatore mi è stata molto utile, ho vissuto tanto con i miei compagni di gioco; si tratta però di una piccola parte della mia vita. Invece quella come allenatore è stata più impegnativa ma anche più esaltante. Prima di una gara guardo i volti che compongono la squadra e tanto avviene in quel momento. Cerco di mettere a disposizione quello che posso, di dare dei consigli propri del mio ruolo, di trasmettere alcune idee e concetti utili.

Gli chiedo se ne posso ricordare alcuni famosi. Lui sorride mentre li elenco: “Giochiamo con leggerezza, lasciamoci trascinare dall’ entusiasmo. In fondo è solo una partita di calcio”.

Avete vissuto dei momenti difficili?

Continuo a pensare agli errori commessi l’anno scorso, ma non ho mai perso la fiducia nella squadra. Credevo in ciascuno e nella possibile rincorsa per fare il salto, ma perdere con il Cagliari è stato terribile. Rivedo sempre le mie partite, ma quella non sono proprio riuscito a rivederla. Quest’anno la parte iniziale del campionato è stata più semplice, ma quando eravamo vicini all’obiettivo, la sconfitta interna contro il Catanzaro ci ha costretto a fermarci e a guardarci negli occhi. Ma anche questo passaggio è stato affrontato con particolare attenzione puntando sulla gestione tecnica e psicologica del gruppo, senza mai dubitare dei passi compiuti.

Qual è l’importanza del calcio dal punto di vista sociale e come i giovani possono vivere i valori veicolati da questo mondo?

Fin da piccoli, i bambini sono attirati dal pallone e si divertono a giocare a calcio con i loro amici. Molti entrano poi in squadre amatoriali, che diventano il punto di partenza per alcuni verso una carriera da calciatori. Il nostro è un mestiere bellissimo, che affascina bambini e adolescenti: loro ci osservano. Noi, d’altro canto, abbiamo degli obblighi da rispettare verso di loro, che appunto ci seguono e ci prendono come modelli. Il nostro mondo può avere un aspetto o devastante o molto positivo: tutto dipende dai messaggi che veicoliamo. Chi lavora dentro al calcio deve avere un grande senso di responsabilità per mandarne di positivi.

Nella mia squadra quest’anno ho puntato alla valorizzazione di giovani come Bonny, Bernabè e Del Prato. Il lavoro con una squadra così giovane è stato impegnativo, ma affascinante. Non è semplice far nascere un senso di appartenenza in tanti ragazzi provenienti da vari Paesi e culture diverse, amalgamandoli senza che nessuno perda la propria unicità.

Li ho visti crescere sotto i miei occhi! Vederli in campo a settembre e poi rivederli in marzo e aprile mi ha dato un senso di evoluzione, si nota una crescita del singolo e del gruppo, fisica, tecnica e di tattica. È venuta fuori una squadra matura, compatta. Questa è una grande soddisfazione per me, per loro e per i tifosi. È stato sicuramente un esempio positivo per i giovanissimi e i giovani tifosi.

Qual è stata la sua emozione più grande e quali sono i progetti per il futuro di Fabio Pecchia?

Ho ancora negli occhi  l’emozione di entrare e vedere lo stadio pieno, poi quella gigantesca A nella curva nord mi emoziona ancora adesso, quel corteo lunghissimo dallo stadio sino in piazza, con parmigiani e stranieri mescolati per festeggiare, tutti insieme. I progetti sono quelli di competere a livelli più alti, il percorso che ci attende è variegato: occorre sempre alzare l’asticella. Immagino il debutto in serie A con l’ Inter!

Ringrazio il Mister augurandogli di avere tanto successo e di realizzare i sogni più belli.

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