La (il)logica della morte
Quasi come frutto di un meccanismo ad orologeria, ecco che due notizie sul Medio Oriente hanno occupato gli schermi della nostra esistenza digitalizzata (anche se presto sostituiti da argomenti più frivoli ma più utilizzabili commercialmente, come il raid (solo con danni collaterali) di Fedez o il terremoto (senza vittime) di Napoli o ancora il maltempo (con poche vittime) nel nord del nostro Paese.
Innanzitutto, va registrata la tragedia dell’elicottero presidenziale schiantatosi al suolo nel nord dell’Iran, che ha provocato la morte del presidente Ebrahim Raisi e del ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, per causa del maltempo o, più probabilmente, di un guasto tecnico al vecchio apparecchio.
La notizia è stata riportata dai media italiani citando più le reazioni sui social «della morte di un macellaio», da parte della minoranza contraria al potere degli ayatollah, e l’analisi politica anch’essa assolutamente contraria a Teheran che la descrizione dei fatti e le ipotesi delle conseguenze dell’evento.
Sembra, comunque, che nessuno abbia voglia di ipotizzare un attentato, perché gli attuali equilibri diplomatici, e soprattutto para-diplomatici, non vogliono sentire parlare di guerra militare esplicitata, preferendo limitarsi alle guerre della comunicazione, del commercio e della cyberwar.
Dall’altra va registrato il fulmine a ciel sereno della parallela richiesta di arresto per Netanyahu e per i leader di Hamas, con in testa il leader Sinwar, per le malefatte legate alla crisi attuale di Gaza. Si grida allo scandalo per l’associazione tra il premier israeliano e il venerato numero uno dell’organizzazione terroristica palestinese. Anche qui, più che ai fatti ci si interessa alle letture della decisione, che non avrà certo effetti immediati, perché chi tra i Paesi occidentali permetterebbe l’arresto del loro alleato, e così si può dire del fronte opposto. Ma la decisione della Corte dell’Aja fa indubbiamente parlare e suscita opposti giudizi nelle parti.
Le conseguenze dei due fatti non pare che siano immediatamente percepibili. Certamente, alla lunga, gli eventi influenzeranno la gestione del potere sia in Israele che in Iran, i due grandi nemici che solo poche settimane fa hanno rischiato di combattersi in una guerra militare aperta. Se infatti Raisi sembrava destinato a prendere il posto, a termine, della guida suprema Ali Khamenei, la sua scomparsa apre così una lotta alla successione che rischia di creare conflittualità all’interno della sistema di governance iraniano, già minacciato dalle molteplici contestazioni giovanili delle grandi città (ma non nelle zone rurali, mai dimenticarlo).
Dall’altra, l’uscita dalla vita pubblica di Netanyahu, da tempo chiaramente legata alla fine dell’emergenza di questa guerra, riceve un ulteriore spinta all’accelerazione, nonostante le grida scandalizzate sembrino ricompattare il potere a Gerusalemme poche ore dopo l’annuncio di Gantz di voler abbandonare il governo di salute nazionale guidato dall’immarcescibile premier. Si apre cioè, sia in Iran che in Israele, una fase di grande incertezza politica, la cui fine non è dato conoscere. E potrebbero emergere sorprese non di poco conto.
Pochi sottolineano, infine, il fil rouge che lega i due fatti: quello della morte sempre più onnipresente, della lotta violenta e fratricida nelle lande mediorientali, della cancellazione del diritto alla vita per privilegiare la narrativa della morte e della produzione di armi da impiegare nei conflitti oggi attivi.
Ci stiamo abituando alla logica della guerra, scrivevamo la settimana scorsa, che è soprattutto logica di morte. Non per niente i personaggi di cui abbiamo parlato, molto spesso sul web vengono rappresentati dai rispettivi nemici come condannati a morte, accompagnando le loro effigie con simboli funerari. Morte chiama morte, verrebbe da dire, la logica della distruzione e della demonizzazione reciproca è sempre e solo centrata sulla perpetuazione della scia funebre.