A 60 anni dal Vaticano II
Sessanta anni fa iniziava il Vaticano II, 21° Concilio ecumenico, cioè universale, mondiale, della Chiesa cattolica. Prima i Concili si erano tenuti in Oriente dal IV al IX secolo, i primi 8, e in Occidente gli altri, tra XII secolo e XX. Ma i più importanti prima del Vaticano II, dopo i 4 fondamentali in età paleocristiana, sono stati il Concilio di Trento dal 1545 al ’63 e quello riunito a S. Pietro nel 1869, il Vaticano I, chiuso traumaticamente nel 1870, con i padri conciliari in fuga dalla parte opposta alla Breccia di Porta Pia.
Il Vaticano II, inaugurato l’11 ottobre 1962 da Giovanni XXIII (che nel ‘59 aveva promesso la convocazione), si riallaccia al I solo perché si è svolto sempre lì. È vero che tra ‘800 e ‘900 qualche papa pensò di riprendere pure nei temi la prima assise vaticana. Ma non se ne fece niente: due guerre mondiali, rivoluzioni, totalitarismi e disastri vari resero la prima metà del XX secolo inadatta a un’assemblea mondiale di tutti vescovi cattolici, qual è il Concilio ecumenico.
E ciò fa sì che il Vaticano II anziché all’immediato predecessore somigli sorprendentemente al primo consesso ecumenico della modernità, il Concilio di Trento. Per il peso e la molteplicità dei temi trattati, la riflessione profonda sull’identità e la missione della Chiesa, la riforma quasi radicale della stessa e lo schietto proposito di dialogare col mondo e coi fratelli separati
Ma c’è un altro aspetto importante che avvicina il Vaticano II al terz’ultimo Concilio ecumenico. Come quella tridentina, di cui la Chiesa ha vissuto fino al ‘900, l’assemblea episcopale di tutto il mondo celebratasi sotto i nostri occhi (quelli di chi ha i capelli almeno sale e pepe) si sta dimostrando storica, durevole e fondante negli effetti e nei contributi dati. Questo 60ennio lo attesta in pieno.
La Chiesa d’oggi, quella dei papi da Roncalli a Ratzinger, e ancor di più vorrei dire quella di papa Francesco, è veramente la Chiesa voluta, progettata e uscita dal Vaticano II. Una Chiesa sacramento e popolo di Dio, più profetica che istituzionale; una Chiesa non pronta a giudicare e condannare ma a capire e camminare accanto a chi sbaglia, a chi soffre, a chi è escluso, conformandosi al suo Fondatore e Modello, vivo in lei; una Chiesa che ha quadrato il cerchio ripetendo il “miracolo” del Concilio di Trento che, dando una risposta coerente e senza compromessi alla Riforma, nel contempo seppe rinnovare, purificare e modernizzare la barca di Pietro, varandola ridisegnata e rifornita verso il futuro.
Così ha fatto il Vaticano II. Da un lato tornando alla fedeltà e autenticità delle origini, all’aurora cristiana, alla Bibbia, al Vangelo, alla Chiesa apostolico-patristica, ma altresì incontrando il mondo, respingendo lo spirito da Sillabo di Pio IX (che però non parlò ex cathedra in quel superatissimo documento) ed entrando in dialogo stabile col mondo. Senza per questo chiamare il male bene, né il falso vero, ma con un atteggiamento aperto e positivo verso l’umanità, la società civile, la scienza, la cultura e la laicità.
All’apertura del Concilio ero 15enne, ma ricordo come fosse ieri lo spettacolo stupendo di 2500 vescovi venuti da tutto il pianeta. Con il loro corteo bianco per piazza S. Pietro, mitra in capo, e poi distribuiti nelle tribune degradanti lungo tutta la navata centrale della basilica. Una scena grandiosa che continuò per 4 anni e rimane tra le grandi icone del secolo scorso. Un’icona solenne, fulgida, ottimistica, una volta tanto!
Si riunirono per 4 autunni, presieduti prima da Giovanni XXIII e poi da Paolo VI, che volle continuare i lavori (alcuni approfittando della morte di Roncalli a giugno ’63 miravano a revocarli) e li chiuse alla fine del ’65. C’erano pure esponenti protestanti e ortodossi, e non mancavano i massimi teologi, liturgisti e biblisti cattolici come esperti nelle commissioni preparatorie di temi e testi, che proponevano ai padri conciliari perché li approvassero, col placet, li respingessero, col non placet, o li approvassero con riserva, col placet iuxta modum.
Così espressero via via ben 16 documenti: 4 Costituzioni, 9 decreti e 3 Dichiarazioni. Manca qui lo spazio anche solo per riassumere ogni testo. Diciamo che la prima Costituzione promulgata, a dicembre del ’63, riformò la liturgia e così rese tangibile l’intento riformatore del Concilio. Ovunque si cominciò a celebrare e pregare liturgicamente nella propria lingua, parlando con Dio come con mamma, papà, gli amici e la fidanzata! Una rivoluzione sacrosanta che continua da 59 anni e ha trasformato le funzioni pure nelle più sperdute parrocchie da riunioni di gente annoiata e distratta in assemblee di fervorosi credenti. Onore al latino, certo, non abolito dal Concilio, ma eccezionale e riservato alle celebrazioni pontificie.
Le altre Costituzioni reinterpretarono la Chiesa di fine ‘900 e del 2000, rimisero la Sacra Scrittura (prima era peccato leggerla da soli!) al centro della predicazione e della vita spirituale e fondarono per sempre il dialogo fra Chiesa e mondo.
Decreti e Dichiarazioni riguardarono i media, l’ecumenismo (altra bandiera del Vaticano II), le Chiese orientali, i vescovi, i presbiteri, le missioni e il ruolo dei laici. L’attualità e il valore mai scaduto di quest’ultimo Decreto e delle Dichiarazioni sulla libertà religiosa e sul rapporto con le altre religioni mostrano davvero che il Vaticano II vive nella Chiesa di oggi e di domani.
Da allora niente è come prima. Nonostante l’agitazione degli iperinnovatori e degli iperconservatori che per opposte ragioni hanno boicottato per anni la sua applicazione.
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