Un mapathon per gli aiuti umanitari

Non molti sanno cosa è un mapathon: è un evento coordinato di mappatura di un certo territorio. In occasione di un mapathon – informa Wikipedia – «il pubblico è invitato a migliorare la mappa online della propria area locale per migliorare la copertura e aiutare la valutazione del rischio di catastrofi e la gestione energetica».
Un esempio di come le mappe possano essere utili in caso di crisi umanitaria, sia per gli aiuti che a scopo di conoscenza e denuncia: la mappa realizzata in collaborazione tra Google Earth e il Museo dell'Olocausto di Washington per monitorare le distruzioni dovute alla guerra nel Darfur. Foto ANSA / GOOGLE EARTH /ji

Ieri dovevo andare in un posto che non conoscevo. Non era lontano, in auto solo diciotto minuti, ma non ci ero mai stato. Nessun problema. Attivo una delle varie applicazioni esistenti per il cellulare e basta seguire la gentile voce femminile che ti guida: «A trecento metri, gira leggermente a destra…». Oramai siamo abituati a usare i nostri dispositivi mobili per muoverci e così raggiungere un posto sconosciuto. Siamo fortunati, non tutti al mondo possono servirsi di questo utilissimo aiuto.

Ci sono ancora molti posti al mondo non mappati e «le aree che non sono su una mappa è come se non esistessero», afferma il mio amico Juan de la Riva, professore di Analisi Geografica Regionale presso l’Università di Saragozza. Qualche giorno fa, mi è arrivato un suo messaggio: «In questo periodo stiamo preparando l’iniziativa che organizziamo ogni anno, il Mapathon Umanitario. Si tratta di una sessione di mappatura, consistente nel disegnare e digitalizzare i percorsi di strade e i contorni di case o capanne in aree dove non esistono mappe, perché gli aiuti umanitari possano raggiungere con sicurezza aree vulnerabili».

Certo, la cartografia come oggi la conosciamo è in gran parte diretta da interessi economici, che non sono sensibili ad esigenze di questo tipo.

Dietro a questa iniziativa di solidarietà ci sono organizzazioni umanitarie. In questo caso, l’Università di Saragozza collabora con Medici Senza Frontiere (Msf), allo scopo di sviluppare mappe utili per i progetti della Ong. «In molte occasioni – spiegano sul sito web di Msf – i nostri team sono ancora guidati da fogli di carta con bozzetti di alcune aree geografiche». Il progetto complessivo, conosciuto come Missing Maps (www.missingmaps.org), è nato nel 2014 su iniziativa di Croce Rossa Americana, Croce Rossa Britannica, il Team Umanitario di OpenStreetMap e Medici Senza Frontiere. Missing Maps conta oggi una quindicina di altri membri, e l’obiettivo è mappare le aree in cui vivono le persone a rischio, in modo che le organizzazioni possano utilizzare dati e mappe per prepararsi e rispondere meglio. Da qui l’iniziativa di utilizzare nuove tecnologie per mappare le parti del mondo più vulnerabili alle crisi umanitarie: disastri naturali, conflitti, epidemie o focolai di malattie.

Che cosa è un Mapathon? Come si fa da un’aula universitaria di Saragozza a mappare una lontana regione dell’India? «Utilizziamo molti strumenti – spiega il professor Juan de la Riva –, come in questo caso immagini satellitari ad altissima definizione. Queste vengono mappate, poi validate e integrate per facilitare la consultazione delle Ong». Dunque, durante le ore di un Mapathon, un gruppo di persone, aiutate da esperti, raccoglie e registra dati da una determinata area selezionata mediante potenti applicazioni. Si calcola che, da quando il Missing Maps è stato varato, più di 65.000 persone abbiano partecipato ai Mapathon organizzati in tutto il mondo. Queste iniziative hanno permesso di mappare più di 34 milioni di edifici e 875 mila chilometri di strade.

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