Xavier de Maistre, scrittore per caso
Per diventare celebre nell’Europa napoleonica al conte Xavier de Maistre bastò un solo racconto, scritto più che altro come esercizio letterario e pubblicato a sua insaputa dal fratello maggiore Joseph, illustre filosofo e diplomatico, cattolico conservatore. E pensare che egli si aspettava la fama dall’arte pittorica verso la quale si sentiva più fortemente inclinato!
A rivelargli invece l’altro talento, quello di scrittore, giocò una serie di circostanze all’apparenza avverse. Fu quando la vigilia del Carnevale del 1794, lui che era allievo ufficiale dell’esercito sabaudo di stanza a Torino, per aver sfidato e vinto in duello un ufficiale venne punito con gli arresti domiciliari per 42 giorni. Per impiegare al meglio le ore vuote di quest’ozio forzato il giovane Xavier, anticipando gli scrittori che durante il lockdown per il Covid-19 avrebbero iniziato o portato a termine i propri lavori, compose un racconto: Viaggio intorno alla mia camera. Lo scrisse in francese (era nato a Chambéry, in Savoia, già dominio del regno di Sardegna ora annesso alla Repubblica francese). In questa amabile ed arguta parodia del filone letterario dei viaggi così in voga allora tra i fanatici del Grand Tour, de Maistre, attorniato dalle presenze familiari del cameriere personale, dell’amata cagnetta e degli oggetti quotidiani della sua camera da letto, snocciola riflessioni sulla musica, sulla pittura, sull’amore, sulla vanità umana… Lungi dall’essere una lettura di pura evasione, il “viaggio mentale” così concepito si propone come un piccolo manuale esistenziale, un sussidio per maturare spiritualmente malgrado gli impedimenti e nei contesti più comuni.
Impensata e clamorosa, come accennavo, la fortuna dell’insolita operetta: in pratica, un soliloquio. Tanto che qualche anno dopo de Maistre pensò di scriverne il seguito: Spedizione notturna intorno alla mia camera, resoconto di una reclusione questa volta volontaria, pervaso anch’esso da intelligenza, umorismo e bonaria ironia.
Personalità versatile in un periodo molto movimentato della storia europea, soldato valoroso, combatté contro i francesi della Rivoluzione, invasori della Savoia e di Torino: dapprima con gli austriaci, quindi agli ordini del maresciallo russo Aleksandr Vasil’evič Suvorov e a lui fedele anche dopo la sua caduta in disgrazia nell’esilio a San Pietroburgo, l’allora capitale, dove de Maistre venne nominato direttore del Museo e della Biblioteca dell’Ammiragliato. Sotto lo zar Alessandro I, col grado di colonnello, combatté nel Caucaso contro i ceceni, in Georgia contro i turchi e in Finlandia. Abbandonata finalmente la carriera militare, aprì a Mosca uno studio di pittore, affermandosi come ritrattista, e nel 1813 sposò una damigella d’onore della zarina, per poi ritirarsi a vita privata. Nel 1826, dodici anni dopo la caduta di Napoleone e la Restaurazione, l’ex ufficiale savoiardo tornò nell’amata Torino, regnante Carlo Felice. Viaggiò per l’Italia e dopo una puntata a Parigi nel 1839 fece ritorno definitivo a San Pietroburgo dove si spense nel 1852.
E la carriera di scrittore? È un dato di fatto che de Maistre non vi si impegnò eccessivamente, privo com’era di ambizioni letterarie. Ai primi due titoli, infatti, aggiunse soltanto altri tre racconti, anche questi pubblicati per iniziativa del fratello: sufficienti però a consolidarne la fama e a collocarlo tra i primi scrittori di gusto romantico (si consolino gli autori poco prolifici, purché baciati dalla grazia come lui!). Sono Il lebbroso della città d’Aosta, I prigionieri del Caucaso e La giovane siberiana, gli ultimi due ripubblicati di recente da Elliot sotto il titolo Racconti russi.
Il primo titolo nasce dalla conoscenza fatta dall’autore nel 1973, mentre era di stanza ad Aosta, con un lebbroso di nome Pierre-Bernard Guasco, segregato per evitare il contagio in una torre medievale ribattezzata in seguito “Torre del lebbroso”. Il coinvolgimento del giovane militare nella vicenda di sofferenza e solitudine di questa figura marginale fu tale da indurlo a tradurla letterariamente, in stile dimesso ed essenziale. Risultò il racconto che sentiva più suo, quello in cui era riuscito meglio a esprimere il dramma umano del lebbroso, quasi novello Giobbe, e al tempo stesso il proprio per l’impossibilità di cambiarne il destino.
Come questo, sono basati su fatti reali anche gli altri due: avventure emozionanti piene di movimento. Nella fedeltà eroica al suo capitano del domestico fattosi con lui prigioniero dei ceceni per aiutarlo nella fuga (I prigionieri del Caucaso), come pure nella pietà filiale e nella fede tenace di Prascovia Lopouloff, che attraversa a piedi le lande gelate siberiane per implorare a San Pietroburgo la grazia per il padre esiliato (La giovane siberiana) si ritrovano i valori ai quali de Maistre rimase sempre fedele: l’onore, la patria, la famiglia, la monarchia, la religione. Cristiano convinto ma non fanatico, uomo di grande ricchezza interiore, espresse la sua fede, maturata negli anni, soprattutto in questi tre ultimi racconti, dove il tema della reclusione che lo rese celebre ritorna variamente declinato nella segregazione, nella prigionia e nell’esilio.
Vi sono scrittori che non inventano nulla, ma traggono spunto per le proprie opere da esperienze vissute o da fatti storici. Così fu per lo “scrittore per caso” Xavier de Maistre, definito dal critico letterario Charles-Augustin Sainte-Beuve «l’uomo più moralmente simile alle sue opere che si possa vedere».