Al cuor non si comanda?
Una domanda che spesso emerge dai colloqui con le coppie è la seguente: «Ma perché mi sono innamorato proprio di lui (o lei)?». Lo psicologo John William Money afferma che ci guida una sorta di “Love Map” (mappa dell’amore, ndr) che ciascuno di noi «ha codificato nel suo cervello e che identifica quello che ci piace e quello che non ci piace, i colori (degli occhi, dei capelli), il timbro della voce, il modo di sorridere, l’aspetto fisico. Questa mappa delinea anche i tratti della personalità che più si adatta a noi: affettuosa, forte, di poche parole, chiacchierona. In pratica quindi, questa mappa ci fornisce delle caratteristiche tipo che deve possedere il nostro partner ideale. Crea, a livello inconscio, un modello a cui facciamo riferimento nelle nostre scelte e che ci orienta in una direzione piuttosto che nell’altra».
Ma cosa c’è in questa mappa che ci guida? Di sicuro va ricordato che la nostra scelta del partner è condizionata dall’esperienza affettiva che abbiamo imparato nella nostra famiglia d’origine. Qualche autore parla proprio di vuoti da riempire, ossia scelgo l’altro in riferimento a ciò che ho avuto e a ciò che non ho avuto. Si parla in questo caso di «un imprinting dell’esperienza affettiva vissuta con il padre/la madre e che orienta alla ricerca di un uomo/donna come o diverso da lui/lei».
Mi dice Roberto: «Ho capito col tempo che vedevo in mia moglie le stesse caratteristiche di pazienza e bontà che appartengono a mia madre che ho perso tanti anni fa». Possono accadere inoltre due cose molto diverse tra loro che guidano inconsapevolmente la nostra scelta del partner.
O la persona di cui ci innamoriamo è quella che meglio riesce a mettere in atto proprio quei comportamenti che in passato ci hanno fatto soffrire, da cui originano i cosiddetti «mommy o daddy issues» (ferite derivanti da mamma e papà).
Oppure, all’esatto opposto, può accadere che venga scelto un partner che possa mettere in atto «un comportamento correttivo, impersonando ruoli e caratteristiche opposte a quelle della nostra famiglia d’origine». Una risposta interessante alla domanda: «perchè proprio lui o lei?» arriva dalla cosiddetta Imago Theory, sviluppata da Harville Hendrix e Helen LaKelly (1980).
Tale teoria prende le mosse dall’osservazione, già notata da Freud, che gli individui non interagiscono direttamente con il partner, ma con una sua rappresentazione mentale. L’Imago è l’immagine interna di «colui che potrebbe farmi sentire un unicum soddisfacendo finalmente i miei bisogni relazionali». La corrispondenza tra caratteristiche reali del potenziale partner e l’Imago può farci sentire attratti da una determinata persona perché ci ricorda, a livello profondo, le prime figure di attaccamento con i loro pregi, ma soprattutto difetti.
Mi raccontava un giorno Rosalba che era stata attratta dal marito perché aveva lo stesso colore degli occhi azzurri del padre, con la differenza che era molto più loquace della figura paterna di cui da bambina aveva spesso sofferto i silenzi.
Un altro elemento che sembra influenzare il fatto di scegliere un partner piuttosto che un altro ha a che fare con quanto le caratteristiche di un partner siano apparentemente opposte a se stessi. Questo trova spiegazione nel fatto che ognuno di noi da bambino fa esperienza che alcune inclinazioni e caratteristiche non sono permesse o addirittura sono sanzionate.
Così nella vita adulta si può essere attratti da individui con caratteristiche simili a quelle inibite, ma aventi la capacità di esternarle ed esprimerle. Ad esempio, una persona estroversa che è stata punita per la propria spontaneità, e che pertanto non si permette di essere spontanea potrebbe trovare attraente un individuo aperto e socievole. Tuttavia, ciò che è stato appreso durante l’infanzia resta presente nell’individuo e, alla lunga, il partner scelto perché spontaneo può essere criticato perchè “troppo spontaneo” o addirittura caotico o impulsivo. Mi racconta Marina: «Ero stata attratta dalla profondità e dalla capacità di ascolto di Alessandro e dal suo essere riservato, ma adesso non sopporto più i suoi mutismi e la sua introversione».
Un ultimo spunto riguarda la scelta del partner a partire dal concetto di Schema. Secondo questo concetto le persone inconsapevolmente possono trovare attraenti e affascinanti persone che generano in loro sensazioni familiari e che confermano uno schema introiettato fin da bambini.
Anche questa teoria va a confermare l’idea che stabilendo una relazione con un partner piuttosto che con un altro si attiva la speranza di sanare le ferite relazionali del passato scegliendo un partner con caratteristiche simili alla figura di attaccamento meno presente. Questo con l’auspicio di ottenere, finalmente, l’attenzione, l’affetto o la stima non ricevuti da bambini. Purtroppo così lo schema si perpetua: si potrebbe scegliere un partner con delle caratteristiche che impediranno di avere risposte molto diverse da quelle ricevute da bambini.
È stata questa la scoperta di Francesca e Daniele: «Entrambi ci siamo ritrovati a chiedere all’altro quelle attenzioni non ricevute da bambini, ma paradossalmente abbiamo scoperto che Daniele assomigliava al papà di Francesca, molto poco presente durante la sua infanzia, e Francesca assomigliava alla mamma di Daniele, che era stata molto critica con lui da bambino. Ad un certo punto abbiamo compreso che o cambiavamo i nostri schemi o avremmo continuato a soffrire.
Anziché rimanere delusi da ciò che non arrivava e aspettare dal partner qualcosa che aveva a che fare con i nostri bisogni irrisolti di bambini, abbiamo cominciato a prenderci cura l’uno dell’altro con uno sguardo nuovo, di compassione per le nostre ferite dell’infanzia e propositivo rispetto alle sfide del presente».
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