David di Donatello, il cinema italiano ritrova la sua via?
Non ha vinto l’Oscar, Matteo Garrone, ma s’è portato a casa 7 delle 15 candidature con Io Capitano, premiato come miglior film e miglior regia. La via crucis dei due ragazzi africani è diventata un epos riflessivo sul dramma dei migranti, che scuote ancora dovunque il filma vada, specialmente nelle scuole, perché Matteo è in giro per l’Italia a mostrarlo e a far pensare studenti e docenti su una realtà troppo spesso ignorata perché non fa più molta notizia. È un film bello e potente, non c’è che dire.
Paola Cortellesi, su 19 nomination ne conquista 6, dedicando i premi alla figlia Lauretta (la mamma è sempre la mamma…) del suo C’è ancora domani. Film in bianco e nero, che vede Paola premiata come attrice protagonista. Anche lei lo porta in giro per l’Italia, ha un grande successo di pubblico. Nonostante sia ambientato negli anni Quaranta, il soggetto, sulla libertà della donna, tocca astutamente la sensibilità attuale, eccome, anche perché esso va letto pure come una metafora dell’Italia di oggi, sospesa tra velleità nazionalistiche e diritti-doveri non tutti acquisiti.
Non se l’aspettava Michele Riondino, tarantino doc, di vincere come miglior attore lui e miglior attore non protagonista l’amico Elio Germano nel suo Palazzina Laf. Storia vera di fabbrica, di ipocrisie, inganni, di dinamiche interne poco chiare. Riondino la fabbrica la conosce, ha il padre operaio, sa cosa vuol dire venire sfruttato da chi comanda. Di qui il fascino di un film duro, vero, diretto, senza carezze: la vita è questa. Con accanto un attore unico come Elio Germano – cinque David vinti – Riondino ha potuto girare un film-verità di forte impatto.
E infine cinque premi a Rapito di Marco Bellocchio, storia nota di un bambino ebreo “rapito” da Pio IX, premiato anche per la sceneggiatura non originale. Un racconto visto dall’ottica di un regista mai tenero con ciò che riguarda la religione, ma ricco di fascino.
Naturalmente non poteva mancare un David speciale, l’omaggio al grande Vincenzo Mollica, malato ma non distrutto, voce amatissima nel mondo del cinema e non solo.
L’Italia ha motivo di essere orgogliosa dei risultati e dei premiati. Il motivo è semplice: sono lavori che toccano finalmente il cuore della gente, sono uno sguardo sulla nostra società attuale, non imbrogliano. Non raccontano sempre le solite storie di periferia violenta, romanocentrica, o di famiglie disastrate, borghesi o giù di lì, che tolgono la voglia di andare al cinema.
Per quanto le sale siano ancora in difficoltà, il cinema che guarda al sociale, ai giorni, alle attese, alle sofferenze, funziona ed è quello che l’Italia sa fare. Cioè, raccontare la realtà, senza americaneggiare, libera dalle piacevolezze mediatiche, ma con originalità – ogni autore è diverso dall’altro –, interpreti azzeccati, e il sapore nuovo di quanto sia bello fare cinema, viverlo come specchio della vita. Ha ragione il presidente Mattarella nel dire che «abbiamo bisogno del cinema, della sua arte e delle sue visioni plurali». Il cinema è anche libertà. Oggi ancor più da non dimenticare.