La Rondine vola alto
Quando uno spettacolo è bello, è bello. Pulizia, rigore, interpreti giusti, direzione appassionata, regia intelligente come le scene e i costumi rendono irresistibile un lavoro, anzi lo fanno scoprire nuovo, come fosse la prima volta.
È accaduto con La Rondine a Milano. Riccardo Chailly dirigeva una orchestra in stato di grazia con un ardore limpido, attentissimo ai mille preziosismi della partitura, mentre realizzava un ambiente stilizzato da Belle Époque l’allestimento con la regia di Irina Brook, un’artista che il teatro lo conosce bene ed ama la musica, impedendo stonature tra ciò che si vede e ciò che si ascolta. Un gruppo di cantanti-attori freschi, belle voci, preparati, hanno dato vita guizzante alla “commedia musicale” pucciniana, anno 1917, una parentesi leggera dopo le grandi opere popolari e prima di Turandot. Vivace, soave, sbarazzina, strumentata in modo finissimo, malinconica in superficie, è una sorta di anti-Traviata senza eroismi.
La storia, poco nota, nella Parigi del Secondo Impero, è quella di Magda, cortigiana esperta e non giovanissima. Incontra un giovane provinciale, Ruggero, trova in lui l’amore limpido di un sogno e vanno a vivere insieme. Ma è un volo leggero e veloce come una rondine e Magda non se la sente di sposarlo, torna alla sicurezza superficiale della vita di prima. Troppo bello per essere vero e per durare è la cifra patetica conclusiva.
Siamo a Parigi, Puccini inventa una musica di conversazione briosa, dispute sull’amore leggero o vero, folle parigine nei divertimenti notturni e danze: tanti valzer un po’ viennesi, un po’ francesi, soavi, duetti e concertati, atmosfere rapide di follia, scene come nei dipinti di Toulouse-Lautrec o di Renoir, arie piacevoli, non troppo originali. E la malinconia tutta sua, di fondo.
Raramente si sono ascoltate oggi delle voci così limpide, si son visti attori tanto affiatati e un coro così perfetto e vivo. Alcuni nomi: Mariangela Sicilia, come Magda capace di sfumature preziose; Rosalia Cid, Lisette scintillante; Giovanni Sala, un Prunier fresco; Matteo Lippi, un Ruggero morbido, solo per citarne alcuni in un cast vibrante.
L’opera è corsa dallo scintillante atto primo al brioso secondo fino al malinconico terzo senza intoppi, con la vena raffinata e un po’ lunare del Puccini maturo che si avvicina a Turandot. Successo vivissimo di una edizione prestigiosa che si spera venga riproposta.
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