Il personalismo comunitario di Armando Rigobello
Desidero onorare la ricorrenza del centenario della nascita di Armando Rigobello (Badia Polesine, 3 febbraio 1924 – Roma 5 aprile 2016), uno dei massimi esponenti del “personalismo comunitario”, ma soprattutto un educatore dei giovani alla “filosofia come testimonianza”, e un maestro di formazione cristiana.
Impossibile non ricordare gli anni della giovinezza, i quali videro l’incontro con il Maestro; collaboravo con lui alla terza cattedra di “Storia della Filosofia” della Facoltà di Magistero dell’Università di Roma con altri giovani studiosi, poi divenuti interpreti riconosciuti del personalismo.
Conoscendo l’importante studio di Rigobello Il contributo filosofico di E. Mounier (1955), nonché il debito di riconoscenza che lo studioso nutriva nei confronti della “teoria della persona” di Luigi Stefanini, facendone propria la concezione della “filosofia come testimonianza”, proposi al Maestro una sintesi del pensiero personalista, destinata soprattutto ai giovani studiosi.
Curato da Rigobello venne pubblicato nel 1975 (2° ed. 1978) Il personalismo, nella collana Idee per l’Editrice Città Nuova. Rigobello si sofferma in questo saggio sull’itinerario personale del fondatore del ‘personalismo’, Emmanuel Mounier, sul significato dell’ontologia personalistica e le ‘dimensioni della persona’, e sulla differenza tra la ‘società impersonale’ e la ‘comunione interpersonale’.
Rigobello riconosce poi ad Armando Carlini la ‘matrice speculativa del personalismo italiano’, ed a Luigi Stefanini l’’approccio storiografico del personalismo’ e la ‘fondazione metafisica della persona’, tracciando le ‘linee per una summa personalistica’.
Il 1977 vide poi la pubblicazione, nella collana “Ricerche” di Città Nuova, di un altro importante testo curato da Rigobello, dal titolo significativo: Studi di ermeneutica, con scritti di Baccarini, Mura, Ivaldo, Borghesi, Lazzaro, Helm. Il titolo del saggio introduttivo di Rigobello è particolarmente significativo: Compimento di atti intenzionali e orizzonte personalistico dell’interpretazione.
A Rigobello interessava il «mondo dei valori morali, spirituali, culturali», di fronte ai quali «abbiamo l’impressione di essere più veramente noi stessi», e si mostrava così attento a incontrare quell’ospite segreto di cui parlava Agostino, e che fonda quella «estraneità interiore la quale è ‘più propria’ della ‘propria natura appartentiva’», e che è alla base «delle più complicate elaborazioni della spiritualità umana».
Di conseguenza, lo stesso rapporto con l’alterità, scrive Rigobello, si situa «oltre l’esercizio tecnico di una razionalità propria delle scienze umane», giacché esso «si realizza nella dimensione ‘caritativa’ della ‘comunione interpersonale’, è quell’altro ‘più proprio’ a noi di noi stessi».
Lo studioso approdava così dal piano della descrizione sociologica o psicologica a quello della spiritualità e della filosofia. Solo la via dell’ermeneutica filosofica apparve a Rigobello idonea a pensare la persona, la quale non è oggettivabile, ma è compimento di atti intenzionali, «che in essa si articolano come entro il loro polo significante», costituendo «per ciò stesso il criterio della loro interpretazione».
Rigobello aveva colto in tal modo lo spirito che aveva animato il gruppo di Esprit, – la rivista fondata nel 1932 da Emmanuel Mounier, e intorno alla quale si raccolsero gli intellettuali impegnati a «pensare cristianamente la storia».
«L’avventura cristiana – scrive Rigobello, a partire da Mounier – comincia, senza possibilità di ritorni, dal momento in cui viene fondato Esprit e viene investita da un dinamismo sans retour. Tutto il programma… è una biografia interiore: la paziente operosità nell’orizzonte di una fede intrepida; la santità come sola politica possibile in un mondo dominato dall’indifferenza; la concretezza misurata non tanto dall’immediato successo quanto dalla totalità della donazione; la semplicità come ‘la forma più commovente di grandezza’».
Rigobello testimonia inoltre la consapevolezza che all’origine del personalismo di Esprit vi fosse la teologia ortodossa, portata in Francia da teologi esuli dalla rivoluzione di Ottobre, e sintetizzata da Olivier Clément con i termini “Persona, Sapienza, Ipostasi”, con i quali non ci si riferiva solo all’icona, come sovente interpretato in Occidente, ma al «volto dell’uomo che è segretamente il Volto di Dio, volto unico che si manifesta, secondo il poeta, nella ‘faglia dello sguardo, nella luce di un sorriso, in una presenza che mi interroga».
E in effetti, dove avevano tratto ispirazione i fondatori di Esprit? Come scriverà Arjakovsky nel 2004: «Berdiaev fu il fondatore del personalismo, Bulgakov fu colui che purificò la sofiologia dalle sue interpretazioni eterodosse, Fedorov ripensò i fondamenti della santità a partire dalla nuova rappresentazione dell’opera dell’Ipostasi dello Spirito Santo ‘nella natura e nella cultura’ […]. Nel pensiero cattolico e protestante ho ritrovato questa problematica contemporanea ‘Persona-Sapienza-Ipostasi’ nell’opera di Emmanuel Mounier con la sua definizione della dignità della persona, di Hans-Urs von Balthazar con la sua fenomenologia della Gloria, di Konrad Raiser con la sua scoperta della Chiesa come cuore del mondo».
«L’idea di persona umana deriva dalla Trinità», ha affermato il teologo ortodosso Ioannis Zizioulas, in occasione del conferimento della laurea honoris causa conferitagli nel gennaio 2015 dalla Facoltà teologica di Milano, auspicando la riunione della tradizione teologica occidentale ed orientale per quanto concerne la comprensione della persona, ribadendo un principio fondamentale della teologia ortodossa, secondo cui «una persona non può essere mai concepita in se stessa ma solo in relazione ad un’altra persona», perché è immagine della Trinità; ma che proprio per questo «una persona non è solamente relazionale ma allo stesso tempo altro. Il Padre come Persona non è il Figlio o lo Spirito, il Figlio non è il Padre o lo Spirito, e lo Spirito è anche diverso dal Padre e dal Figlio. Come natura o sostanza divina i tre sono un Dio. Ma come persone divine esse sono altri».
Pensare l’“alterità” della persona, sul modello “Persona-Sapienza-Ipostasi’, significava per questo, per Rigobello, dare rispettabilità all’orfano, alla vedova, all’escluso, al carcerato, al morente, all’ abbandonato, portando a compimento quell’etica del personalismo che era stata annunciata dai suoi fondatori.
Papa Francesco, in un discorso a sacerdoti e monaci di Chiese ortodosse orientali, del 3 giugno 2022, ha detto che «l’unità è dono, armonia, cammino, missione», chiarendo che «l’unità non è uniformità e non è nemmeno il frutto di compromessi o di fragili equilibri diplomatici. L’unità è armonia nella diversità dei carismi suscitati dallo Spirito. Perché lo Spirito Santo ama suscitare sia la molteplicità sia l’unità, come a Pentecoste, dove le diverse lingue non sono state ridotte a una sola, ma sono state assimilate nella loro pluralità».
Ed ha precisato che l’unità come armonia «si fa cammin facendo: cresce nella condivisione, passo dopo passo, nella comune disponibilità ad accogliere le gioie e le fatiche del viaggio, nelle sorprese che nascono lungo il percorso».
Il “personalismo comunitario” di Rigobello rivela qui la sua attualità; esso può considerarsi infatti come una profezia e un fondamento filosofico del messaggio di papa Francesco sull’unità cristiana da non intendersi come uniformità che annulla l’alterità, ma come “armonia” rispettosa della diversità dei carismi e di ogni singola persona.
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