La sfida delle case verdi
Il Parlamento Europeo ha ultimamente approvato la direttiva della Commissione Europea “Energy performance of building directive” (Epbd) per ridurre le emissioni di gas serra, iniziando con la ristrutturazione degli edifici più energivori di classe energetica G. In Italia sono 1,8 milioni, su un totale di 12: l’obiettivo è di ridurre le emissioni del 1990 del 16 per cento entro il 2030 e del 26 entro il 2035, per azzerarle entro il 2050.
La direttiva esenta i palazzi storici, le case abitate meno di 4 mesi e – non si vede perché – gli edifici di culto. Tutti i nuovi edifici entro il 2028 dovranno essere ad emissioni zero e tutti gli altri edifici entro il 2029 dovranno raggiungere la classe E ed entro il 2033 la classe D; dal 2035 i riscaldamenti a combustibili fossili dovranno passare a pompe di calore o energie rinnovabili.
La classe energetica, titolo qualitativo delle nostre abitazioni, adesso diventa importante e da attribuirsi con rigore: ai singoli Stati viene delegata la definizione del come raggiungere gli obiettivi, garantendo credito a chi ne avrà bisogno e semplificando le pratiche burocratiche.
Questa direttiva è un passo fondamentale nell’ambito residenziale che è responsabile del 40 per cento delle emissioni di gas serra: l’Europa si propone di compierlo prima al mondo.
Città Nuova sei anni fa ne anticipava la necessità con articolo “Ambiente e sviluppo economico”: per trovare le ingenti risorse necessarie a combattere il cambiamento climatico, l’articolo proponeva, al posto della solita “imposta sui patrimoni” spesso invocata quando occorre addossare ad altri degli oneri che spettano a tutti, una disposizione simile a quella oggi deliberata dalla Comunità Europea.
Allora si suggeriva di chiedere agli affittuari di appartamenti di adeguarli energeticamente entro due anni ed a quanti abitano le loro case di adeguarle entro dieci anni: allo Stato l’onere di garantire, a chi non disponesse delle risorse per finanziare la ristrutturazione, la concessione di mutui bancari della durata di almeno dieci anni.
La coibentazione degli appartamenti fa risparmiare nel riscaldamento e nel condizionamento e in dieci anni ripaga ampiamente il costo sostenuto: chi si fosse finanziato con un mutuo, avrebbe da tali risparmi le risorse per le rate di restituzione.
Non tutti avrebbero necessitato finanziamenti: oltre a quella costituita dagli immobili, la ricchezza degli italiani vanta 5300 miliardi di euro in fondi comuni e titoli di stato e 1300 miliardi dormienti nei conti correnti bancari.
Senza aumentare il debito pubblico, si sarebbero così indotti molti italiani a mettere a frutto risorse inutilizzate. La proposta giungeva anche in Parlamento, dove però prevaleva una visione diversa, che portava a varare il superbonus, una ristrutturazione volontaria totalmente a spese dello Stato: 200 miliardi sottratti alle spese sanitarie e dell’istruzione.
Al Parlamento Europeo i partiti di destra hanno votato contro e la direttiva è stata approvata annacquata per i primi anni: anche nostri parlamentari europei hanno votato contro, sostenendo che la direttiva era un sopruso, dimenticando il futuro della casa comune.
A breve voteremo il nuovo Parlamento Europeo: scegliendo chi votare conviene capire come la pensa in merito, magari facendoci promettere di adoperarsi, se eletto, a rendere la direttiva più efficace.