54° Rapporto Censis, una fotografia al Paese
Che Italia ci fa vedere il 54° Rapporto Censis circa l’interpretazione dei più significativi fenomeni socio-economici del Paese? Dalla sua torretta di osservazione panoramica quale società italiana 2020, al tempo del Covid scopriamo?
Intanto l’avanzare della storia incontra a volte curve drammatiche e inaspettate che mutano radicalmente i paesaggi. La pandemia è uno di questi improvvisi e imprevisti cambiamenti. Il virus ha aggredito una società già stanca. Provata da anni di resistenza alla difformità dei redditi e alla decrescita degli investimenti, incerta sulle prospettive future, con un modello di sviluppo fragilissimo: una società indebolita, ma ancora sufficientemente vitale per resistere e combattere a favore della risalita.
Quest’anno, anno terribilis che vorremmo cancellare al più presto, non abbiamo potuto avere la capacità di visione. La distribuzione indifferenziata di bonus e sussidi di ogni ordine e genere ha calmierato (?) le difficoltà di progetti imprenditoriali ed aziendali e famiglie. Il blocco dei licenziamenti e la Cassa integrazione hanno posto una piccola diga al rischio di trasferire sui soggetti più deboli gli effetti della diminuzione della produzione. Ma il debito pubblico è stato accresciuto in misura rilevante, ponendo un ulteriore fardello sulle prossime generazioni. Il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci già troppe volte pronunciati: un sentiero di bassa valle più che un’alta via. E oggi l’attesa si è trasformata in disorientamento, la semplificazione delle soluzioni nell’emergenza è diventata una sottostima dei problemi, il contagio della paura rischia di mutarsi in rabbia o peggio.
In tutte le epoche di crisi, la società italiana ha resistito e ha saputo rilanciare grazie a un curioso e originale intreccio dei suoi tessuti costituenti. Ma la realtà odierna ci impone di prendere atto che il Paese si muove in condizioni troppo rischiose per non presupporre una nuova azione sistemica del Pubblico. Tutti avvertono che per rimettere in cammino l’economia e rinsaldare la società occorrono interventi concreti e in profondità.
Andare, ma verso dove? In primo luogo verso un nuovo modello fiscale, perché non sono più tollerabili le distorsioni che pongono a carico degli onesti l’illegalità degli evasori. Mentre una riduzione generalizzata e indistinta delle tasse non appare, almeno nel breve periodo, un obiettivo coerente con la dimensione del debito pubblico e con gli impegni a sostegno del reddito e della crescita. In secondo luogo, un ridisegno del sistema industriale e investimenti a sostegno della produzione, dell’innovazione, delle esportazioni, uscendo dall’indistinto aiuto a tutti. In terzo luogo, oltre che per il Mezzogiorno si impone la nuova questione settentrionale. Se da un lato le regioni settentrionali sono esposte al rischio di diventare una periferia a minore valore aggiunto dei sistemi produttivi nordeuropei, dall’altro sono poste nelle condizioni di cogliere tutte le opportunità che il nuovo quadro dell’industria europea va configurando.
Il nostro Paese aspetta e sa di avere risorse, competenze, intuizione ed esperienza per ricostruire i sistemi portanti dello sviluppo. Sa che dal suo geniale fervore traspira rapido il nuovo. Attende di sentire, quando dopo le lacrime altro non si avrà da offrire che fatica e sudore, il richiamo a rimettere mano al campo, senza volgersi indietro, guardando e gestendo il solco, arando diritti.
Dopo questa premessa di scenario vediamo alcuni punti del Rapporto. Come primo elemento, senza voler dare all’economia nessuna primazia, la pandemia scava un abisso tra chi ha un lavoro stabile e chi non lo ha. Quasi mezzo milione in più di disoccupati soprattutto giovani e donne solo nel terzo trimestre 2020, mentre, fenomeno termometro di “paura”, i conti correnti crescono come mai prima d’ora mentre la maggior parte dei lavoratori autonomi sperimentano caduta del reddito, e la metà dei giovani vive in una condizione peggiore rispetto a quella dei propri genitori.
È un Italia che si divide tra chi ha potuto risparmiare e passare momenti sereni nelle seconde case e gli “scomparsi”, 5 milioni “di persone che hanno finito per inabissarsi senza rumore”.
Il Censis osserva che in un’Italia che “è una ruota quadrata che non gira ed avanza a fatica”, “il grado di protezione del lavoro e dei redditi è la chiave per la salvezza”: a pensarlo è l’85,8% degli italiani. La pioggia di bonus e sovvenzioni, 26 miliardi di euro erogati a una platea di oltre 14 milioni di beneficiari, non è riuscita neanche lontanamente a rimettere in pareggio una situazione disastrosa.
«Il 2020 è stato un anno eccezionale e l’anno della paura nera – rileva il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii –. Gli eventi ci hanno riportato alla nostra nuda vita, con una intollerabile vista pubblica della morte, amplificata dal sistema dei media, resa più inquietante dalla mancanza di una base dati epidemiologica accurata. Questo evento eccezionale ha rappresentato di fatto uno straordinario fattore di accelerazione di alcuni processi che erano già in atto, presistenti nella nostra società. Ha squarciato un velo su vulnerabilità strutturali del nostro Paese. Il re è nudo».
È la società “sfibrata dallo spettro del declassamento sociale, una società che se prima era divisa, adesso è decisamente spaccata. Una situazione che accentua l’insicurezza: pochissimi sono disposti a rischiare.
I bonus sono bene accolti, soprattutto dai giovani (83,9%). Anche il 65,7% degli anziani li valuta positivamente, ma per il 25,1% si tratta un meccanismo che può generare dipendenza, mentre per il 18,1% rischia di mandare fuori controllo il debito pubblico. Ma solo il 17,6% dei titolari di impresa ritiene che le misure di sostegno saranno sufficienti a contrastare le conseguenze economiche dell’emergenza.
I risparmiatori, abbiamo accennato, hanno registrato un incremento di ben 41,6 miliardi di euro (+3,9%). Non era mai successo prima: nel 2016. Nel complesso il portafoglio finanziario degli italiani ha superato i 4.400 miliardi. Ma l’altra faccia oscura della luna è rappresentata dai tantissimi non garantiti, scivolati in povertà, anche se è esternamente difficile stabilire quanti poveri in più ci siano in Italia.
Proseguendo, il Censis registra che 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente. Di conseguenza, il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, il 38,5% è pronto a rinunciare persino ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. E di fatto, anche i “garantiti” sono più deboli.
La disparità si estende anche alla sanità e alla scuola. Anzi, sono questi i due settori chiave della vita degli italiani dove sono emerse più drammaticamente. I posti letto di terapia intensiva erano passati dagli 8,7 per 100 mila abitanti della fase precedente al Covid-19, figlia di anni ed anni di tagli alla sanità, a 15,3. Ma ci sono distanze enormi tra Regioni come Lombardia e Veneto e la Calabria.
Anche la scuola ha mostrato fortissime carenze localizzate in alcune aree: in difficoltà intanto gli oltre 800 mila studenti figli di stranieri, prime generazioni in Italia, i 268.671 alunni con disabilità e i circa 276 mila con disturbi specifici dell’apprendimento. Al di là delle scuole che non hanno avviato la didattica a distanza, c’è un tasso elevato di dispersione da Dad: nel 18% degli istituti mancava all’appello, su base regolare, circa il 10% degli studenti.
A reggere sono state le Reti, a cominciare da quella che ha permesso di continuare a lavorare e studiare a moltissime persone, Internet: l’87% dei cittadini ha dichiarato di avere utilizzato nell’emergenza la connessione fissa a casa e che è stata sufficiente. Ma un terzo degli anziani si è autoescluso, e anche i giovani a un certo punto sono andati in sofferenza, stanchi di avere solo contatti online con i propri coetanei.
Alcune spigolature del Rapporto: nel 2019 i nati sono stati 420.170: 148.687 in meno rispetto al 2009, il 26,1% in meno. Gli italiani fanno sempre meno figli. L’esito è un inverno demografico che sta progressivamente rimpicciolendo il Paese. Il rischio è una generazione zero.
Circa la pena di morte: a sorpresa – si legge nel 54°Rapporto Censis –, quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento (e il dato sale al 44,7% tra i giovani).
Sull’uso del Web, si stima che quasi 43 milioni di persone maggiorenni (tra queste, almeno 3 milioni di principianti) siano rimaste in contatto con i loro amici e parenti grazie ai sistemi di videochiamata di Internet.
In questa situazione, conclude il segretario generale del Censis, Giorgio De Rita, spetta alla nostra classe dirigente, che «nello sforzo di confinare l’emergenza» sembra aver «dimenticato di rimettere mani all’aratro», trovare la forza di guardare avanti, «arando dritto». «Questo sforzo, questo coraggio, questa responsabilità – prosegue De Rita – che è attribuibile alla classe dirigente italiana e che oggi è oscurato da uno sguardo corto, dalla necessità di pensare all’oggi, ai decreti di Natale, è forse la più grande sfida che il nostro Paese ha di fronte».