Dove va l’Italia?
Michele Cortese è di Lodi, ma da decenni insegna nella periferia romana. Stanco di ragazzini maleducati e minacciosi, di genitori invadenti, chiede e ottiene di andare a fare il maestro in un paesino nel Parco Nazionale d’Abruzzo: situazione seria, paese che si spopola, i giovani scappano, c’è una sola classe di bambini dai sette ai dieci anni, a rischio chiusura, anche perché non nascono figli. Non si vogliono far nascere in un mondo isolato e duro come questo.
Non è fantasia, ma realtà. I centri montani si stanno spopolando, rimangono solo gli anziani come memorie destinate a scomparire e i turisti che vengono a passare l’estate e poi tornano comodi in città, senza rendersi conto della durezza della vita di quassù. La vicenda del maestro che fugge da una Roma egoista e inselvatichita – metafora della brutalizzazione dei rapporti interpersonali – per approdare in una terra selvaggia ma sana è quanto mai attuale. Michele scorge un gruppo di lupi: uno di loro rimane indietro, un altro lo va a raccogliere: gli animali fanno con i loro simili quello che ora gli uomini non fanno più, riflette il maestro. Michele incontra la vicepreside, Agnese, donna dinamica e decisa che lo coinvolge in un processo di liberazione dalla sua mentalità libresca e lo aiuta ad entrare nel mondo della montagna, delle famiglie, dei ragazzini svegli che sognano di fare gli influencer, mentre i genitori li spingono a lasciare il paese che il regista ci mostra bellissimo nelle nevicate e nelle notti, aggrappato sul monte.
Ma c’è un giovane, Duilio, che non se ne vuole andare: farà il contadino, sta bene nella sua terra, cosa che i genitori non capiscono. È l’Italia dei giovani che amano le loro origini, dei ragazzini già influenzati dai media, degli adulti disillusi e dei politicanti privi di visione e di senso della storia e della cultura. Michele diventerà un uomo di montagna, sarà un uomo nuovo, più vero.
Il film è delicato, nobile, misurato, con un filo di umorismo, di denuncia: autentico anche nel dire i sentimenti, nel dipingere una comunità. I problemi però ci sono, la scuola dovrà chiudere perché non ci sono nuove iscrizioni. Che fare? Intanto, arrivano gli immigrati, quelli già inclusi e quelli dall’Ucraina. È il mondo della accoglienza, di una fraternità a fare capolino, l’Italia che in fondo ha bisogno dell’immigrazione, di riconoscere come suoi cittadini i figli che ormai parlano il dialetto abruzzese.
Il messaggio di speranza, ben oltre il pessimismo e le fatiche, sorge vivo nel film dove i protagonisti, accanto al paese e ai bambini, sono due meravigliosi Virginia Raffaele e Antonio Albanese, credibili e commossi interpreti di una storia che sta facendo il giro d’Italia. Quando il nostro cinema si lascia alle spalle le solite storie periferiche violente e le solite vicende di famiglie distrutte, la sua voce ritorna fresca e diventa la ”nostra voce”, quella più autentica di una gente che può ritrovare la speranza. Basta saper guardare e voler scoprire.