50 anni di lavoro per l’unità dei cristiani
l pontificio consiglio per il dialogo ecumenico fu istituito nel 1960. Negli anni incontri, documenti comuni, testimonianze di comunione hanno abbattuto muri e pregiudizi tra le chiese
Il 5 giugno 1960 Giovanni XXIII creava il Segretariato per la Promozione dell’unità dei cristiani, dal 1988 Pontificio consiglio. Dopo 50 anni il cammino intrapreso nel dialogo tra le diverse confessioni cristiane è un fatto innegabile ma, per usare l’immagine del cardinale Kurt Koch, attuale presidente del Consiglio, come dopo il decollo di un aereo che si caratterizza per il veloce innalzamento si sperimenta una apparente stasi nel rimanere in quota, così sembrano oggi i rapporti tra le chiese che sperimentano un’apparente stasi. Il 17 novembre scorso, a Roma, l’ Atto commemorativo della fondazione del pontificio consiglio ha voluto riportare in alto questo incontro tra le tante anime della cristianità.
A ben guardare i passi fatti in questi 50 anni sono enormi. I muri che dividevano Chiese e comunità cristiane, fatti di pregiudizi, reciproche condanne, persecuzioni erano moltissimi. L’incontrarsi è stato graduale e il riconoscersi una scoperta. Lo ha significativamente testimoniato durante la commemorazione la presenza dell’arcivescovo di Canterbury, primate della chiesa d’Inghilterra, Rowan Williams, e del metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas, rappresentante del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. A questi si è aggiunto il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone che ha portato il saluto diretto di Benedetto XVI.
La sala della festa, gremita di ecumenisti, ha respirato con i due polmoni della chiesa d’oriente e d’occidente. Si è fatto il punto sul terreno conquistato e sulle sfide ancora aperte da cui nessuno può considerarsi escluso poiché resta una situazione anormale vedere una cristianità divisa. La relazione del cardinal Kasper, presidente emerito, ha indicato tre punti prospettici. Primo: risvegliare e rinnovare un ecumenismo spirituale che ha fondamento non solo nel dialogo teologico, ma nella costante preghiera per l’unità e nell’esperienza che matura nei movimenti che animano con un dialogo vitale e quotidiano il dialogo ecumenico nelle varie chiese. Secondo: rafforzarsi nella conoscenza degli elementi comuni prendendo coscienza dell’analfabetismo religioso che domina il nostro contesto culturale, è noto infatti che la maggioranza dei fedeli non sa cosa significhi essere cristiani. Terzo: purificare ed approfondire il concetto di Chiesa, tornando alle sue radici nella Scrittura e nei Padri.
Il Primate anglicano Rowan Williams ha evidenziato la centralità della comune appartenenza nel battesimo che comporta una ricerca condivisa della santità e ha evidenziato la necessità di «una diaconia comune verso i bisogni dell’uomo». Williams non ha nascosto la problematicità legata ai temi del ministero ordinato, del passaggio di sacerdoti e vescovi al cattolicesimo e del primato del vescovo di Roma. Ha guardato al futuro chiedendo un commento condiviso al Credo e una teologia eucaristica comune che dia ragione della continuità della fede apostolica sia in rifermento all’Eucarestia, attualmente messa in secondo piano da molte comunità cristiane, sia in riferimento al servizio di Pietro, in qualità di testimone della fede nella resurrezione.
Il riconoscimento reciproco tra le chiese è il cuore dell’intervento del metropolita Iannis che ha sottolineato come dopo il documento Unitatis Reintegratio del Concilio Vaticano II° c’è stato un impegno concreto da parte della chiesa cattolica di riconoscere l’autonomia e la validità delle chiese ortodosse d’oriente, consapevoli però che tale processo va promosso nelle comunità ecclesiali consapevoli che «la Chiesa resta un mistero» e che in quanto tale continuerà a sorprenderci. Anche qui punto nodale della divisione rimane il primato della sede di Roma, una sfida da non eludere, ma da affrontare con coraggio come si è già fatto per altre criticità. Benedetto XVI nell’incontro con l’intero Consiglio ha sottolineato che «l’unità dei cristiani è e rimane preghiera, abita nella preghiera. Non si tratta di un impegno secondo categorie politiche, in cui entrano in gioco l’abilità di negoziare o la capacità di trovare compromessi».
Nella verità ci si può ritrovare se si è capaci di condividere le ricchezze ricevute, se si è capaci di posporre i propri punti di vista, determinati dalla storia, e di incontrarsi nell’amore di Dio che ci ha chiamato e ci chiama ad amarci reciprocamente, era la conclusione di questo Atto commemorativo dei cinquant’anni. In questo ogni fedele, di ogni chiesa, è chiamato a svolgere la sua parte per contribuire concretamente all’unità, poi sarà Dio che la realizzerà nei tempi e modi che non sta a noi stabilire.