5 passi per allenare l’autostima… nell’altro

Abbiamo una buona considerazione di noi stessi o nascondiamo delle insicurezze? L'autostima si costruisce nel tempo, può migliorare e ci si può anche aiutare reciprocamente a farlo.

Quante volte abbiamo sentito dire da qualcuno che ci sta accanto: “Non mi sento all’altezza”, “non ce la farò mai”, “ho un ansia terribile per questa cosa che si aspettano da me”, “non penso che potrei piacergli”.

Non serve essere un addetto ai lavori nel campo della mente per capire che ci troviamo davanti ad una condizione di bassa autostima. Non facciamo l’errore allo stesso tempo di pensare che chi si autocelebra e parla sempre di sé abbia un’alta autostima, perché anche in questo caso si nasconde un nucleo di insicurezza.

L’autostima, che letteralmente possiamo definire come “la stima che abbiamo di noi stessi”, si costruisce nel tempo, si struttura in particolare nel periodo della fanciullezza e dell’adolescenza, ma può essere sviluppata anche in seguito attraverso un percorso psicologico e nuove esperienze di vita che l’alimentano.

Questa capacità di auto-osservazione si forma e cresce all’interno di dinamiche relazionali: l’uomo in quanto essere sociale si sperimenta e si scopre dentro le relazioni interpersonali. Per questo motivo ciascuno di noi può essere uno strumento di aiuto per l’altro, per alimentare la sua autostima. L’uomo valuta e si auto-valuta continuamente e crea all’interno della propria rappresentazione di sé un giudizio generale. Alcuni studiosi della psicologia sociale definiscono l’autostima come un prodotto che scaturisce dalle interazioni con gli altri, come una valutazione riflessa di ciò che le altre persone pensano di noi. Dunque possiamo essere o non essere allenatori dell’autostima di chi ci sta accanto, a partire dai figli, al partner, al collega della scrivania accanto.

Alcuni dei comportamenti e degli atteggiamenti che aiutano un buono sviluppo dell’autostima sono:

Amare chi ci sta accanto anche se ha fatto degli sbagli, distinguere un “fare” sbagliato, da un “essere” sbagliato.

Ascoltare con attenzione cosa l’altro ha da dirci, dargli pienamente ascolto quando sta esprimendo la sua idea, se è un bambino fargli sempre finire il discorso che ha iniziato.

Essere sinceri nel valutare una capacità, ma far passare sempre l’idea che impegnandosi si può migliorare (non serve gonfiare artificialmente l’ego).

– Quando si chiede qualcosa di nuovo agli altri, fare attenzione nel dare obiettivi sfidanti, ma non impossibili.

Facilitare nell’altro il riconoscimento dei suoi punti di forza e la coscienza delle aree di miglioramento.

Se questo allenamento diventa reciproco, saremo facilitatori l’uno per l’altro di un rapporto più sereno con noi stessi, capaci di guardarci nelle nostre luci e nelle nostre ombre e di sperimentare, esperire, fare cose nuove.

Quando attraverso nuove esperienze anche il rapporto con noi stessi sarà sereno, ci saremo dimenticati della parola autostima e sarà in quel momento che sarà un’autostima sufficientemente buona.

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons