800 anni del Cantico delle creature

Scritto tra il 1224 e il 1225 il Cantico composto da san Francesco si avvicina agli 800 anni.

La lingua italiana faceva i primi passi. Nell’archivio dell’abazia di Montecassino è contenuto quello che è ritenuto il documento più antico in volgare. Si studiava a scuola: sao ko kelle terre per kelli fini que ki contene… Risale al 960 ed è noto come il “Placito di Capua”. Più di un secolo dopo c’è la “Confessione umbra”, una formula che serviva in preparazione al sacramento della penitenza.

Ma si deve andare tra il 1180 e il 1220 per trovare quella che forse è la più antica poesia che ci è rimasta, scritta in italiano: Quando eu stava in le tu’ catheneÈ una canzone d’amore cortese. Alcuni studiosi ora ritengono che questa canzone sia stata composta nel 1226. Il che farebbe del Cantico delle Creature la più antica poesia in lingua italiana. Ma anche se non lo fosse, anche se se la giocassero sul filo di rasoio di qualche anno, il Cantico di Francesco ebbe un successo tale che non è paragonabile ad alcuna altra poesia coeva.

La stesura più antica di questo capolavoro è su una pergamena datata al XIII secolo e custodita ad Assisi nella Biblioteca del Sacro Convento di san Francesco. Si racconta che, dettata da san Francesco, ormai quasi cieco, fu trascritta da Fra Leone. È plausibile che Francesco la intendesse come un autentico cantico, e che ne avesse pure inventato lui la musica, e che la cantasse. Ma questa musica è andata perduta. Anche perché fra Leone, che ha lasciato lo scritto, non conosceva le note. Ci penseranno poi Angelo Branduardi e  altri a rimetterlo in musica.

Il tema di questa poesia è un riassunto della vita di Francesco. La scelta della povertà lo aveva portato ad un rapporto intimo, non solo con gli uomini e le donne, ma anche con la creazione. Tanto che addomesticò un lupo a Gubbio; e mentre viveva nei boschi dormendo sulla roccia nuda, intimò agli uccelli di smettere di cinguettare perché lo disturbavano nella meditazione, ed essi gli obbedirono.

Nei Fioretti si racconta che un giovane aveva catturato delle tortore, e le portava a vendere. Sulla strada verso il mercato incontrò Francesco, che gli disse: “O buon giovane, io ti prego che tu me le dia, e che uccelli così innocenti le quali nella Scrittura sono assomigliate all’anime caste e umili e fedeli, non vengano alle mani dei crudeli che gli uccidano”. Il giovane le diede a Francesco che, ricevendole, cominciò a parlare loro dolcemente: “O sorelle mie, tortore semplici, innocenti, caste, perché vi lasciate voi pigliare? Or ecco io vi voglio scampare dalla morte e farvi i nidi, affinché voi facciate frutto e moltiplichiate secondo i comandamenti del nostro Creatore”. Francesco fece a loro un nido. Le tortore cominciarono a fare uova e vissero fra i frati e mai se ne andarono, fino che Francesco  diede loro licenza di partire. Il giovane che aveva donato le tortore si fece frate.

Non si sa con certezza quando Francesco scrisse il Cantico delle Creature. Alcuni propendono per il 1224, altri per il 1225, quindi un anno o due prima della morte. In ogni caso non è un’opera che trabocca dall’ardore della gioventù. È il testamento di un uomo maturo, che aveva mantenuto negli anni  la purezza dell’innamoramento per Dio. Con negli occhi le immagini del film di Zeffirelli, Fratello sole e sorella luna, vien facile pensare che Francesco abbia composto questo canto in un sorridente campo di fiori, in primavera, quando era giovane.

Invece no: era consumato dalle malattie, e per di più lo tormentavano i dolori delle stimmate che aveva ricevuto nel settembre 1224. Da più di cinquanta giorni non riusciva a sopportare né la luce del sole, di giorno, né quella del fuoco, la notte. Era ormai quasi cieco, con un continuo dolore acuto agli occhi. Gli avevano applicato alle tempie due pezzi di ferro riscaldati nel tentativo di guarirlo. Fu in queste condizioni che compose il Cantico.

Nonostante il dolore, Francesco vedeva l’amore di Dio in ogni cosa. E lo cantò. Non c’era in lui un’aspirazione ecologica, il tema dell’ecologia, come noi lo intendiamo noi oggi, non esisteva nelle menti della gente del Medioevo. Probabilmente in lui c’erano intenzioni che a noi sono totalmente estranee, come l’affermare il carattere divino della materia, contro i Catari e altri gruppi ereticali, che in quel tempo sostenevano che solo la realtà spirituale fosse opera di Dio, mentre la materia aveva origine dal demonio.

Nella Legenda maggiore è scritto che Francesco “contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto. Di tutte le cose si faceva una scala per salire ad afferrare Colui che è tutto desiderabile”. Lui vedeva Dio dietro ogni cosa, dietro il sole, la luna, le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, il perdono e anche la morte: Laudato si’ mi’ signore per sora nostra morte corporale / da la quale nullu homo vivente pò skappare

Riprendendo il salmo 148, che conosceva a memoria, Francesco esprimeva così la sua lode al Creatore con la novità delle immemorabili parole: Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole… Francesco scrisse il Cantico a san Damiano, uno dei sui luoghi prediletti. Se è corretta la data del 1224, proprio 800 anni fa.

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